Acri com’era e com’è: analisi semiseria sulle cause di uno spopolamento

Sono le 15 della bella domenica di inizio  primavera.  Di ritorno da un pranzo a casa di amici, ci fermiamo un attimo parcheggiando in prossimità del belvedere. Affacciati a quella balconata siamo colpiti da una visione di insieme della città che è, al tempo stesso, maestosa e triste.

Maestosa perché oggettivamente, dagli anni ’60 ad oggi, il territorio si è espanso,  in maniera per lo più selvaggia  a causa soprattutto della edificazione anarchica degli anni 70 e 80, che è la prima causa oggettiva dell’attuale stato. Un’inflazione di case, costruite per lo più in maniera selvaggia, al di fuori di qualsiasi regola urbanistica, ha determinato il valore bassissimo delle abitazioni.

Acri è, tra le realtà meridionali, quella che ha il valore più basso delle abitazioni. Interi quartieri sono nati senza il rispetto delle regole minime di distanziamento con strade di 6 metri di larghezza (Merolini, ad es.) e ognuno ha cercato, attraverso i sistemi più estremi (corpi avanzati, sovrapposizioni, soffitte divenute mansarde, etc) di ampliare lo spazio a disposizione a scapito di estetica e ambiente. Lo sguardo si sofferma su P.zza Annunziata ed è inevitabile il parallelismo tra 50 anni fa e oggi: un fiume, poi “tombato”, scorreva e il rumore dell’acqua faceva da sottofondo al vitalismo di un ambiente gremito di piccoli gruppi che discutevano (per lo più di sport, ma discutevano).

Oggi non vi è che qualche sparuta presenza e il bianco diventa bagliore accecante non interrotto da presenze umane. Negli ultimi venti anni sono stati persi qualche migliaio di abitanti, che hanno scelto di spostarsi – molti anche non in età giovanissima –  e cambiare vita alla ricerca di una stabilità economica che la città non offre più.

Le cause di questo impoverimento sono molteplici, a quelle storico-antropologiche, pressoché immutate in 50 anni, si aggiungono altre, frutto di scelte evidentemente politiche che hanno fatto si che la città perdesse alcune delle sue fonti di sostentamento.

Chi vorrà potrà “divertirsi” andando alla ricerca di tutti gli enti che dall’alba del nuovo millennio ad oggi hanno chiuso i battenti mentre altri sono stati fortemente depotenziati. Tutto questo è stato frutto di scelte precise e non del caso. In sintesi, Acri di oggi, pur nel mutato assetto urbanistico di alcune piazze, risulta una realtà profondamente stravolta. Il paragone con ciò che era quaranta o cinquanta anni fa risulta avvilente: la città che ci si offre oggi allo sguardo non somiglia per nulla a ciò che era.

E’ un luogo impoverito nelle sue poche risorse vitali e chi se ne è allontanato lo ha fatto, comprensibilmente, per garantire un futuro ai propri figli, non diversamente oggettivabile dal mutato contesto e da scelte opinabili fatte sulla pelle della gente.

Continuiamo a mirare una città e una terra che non smetteremo mai di amare. E proprio per questo la nostalgia lascia il posto alla rabbia, l’orgoglio all’analisi fredda e cinica. Mentre fantasticavamo questi pensieri, ci sentiamo toccare con vigore un braccio: chi ci accompagnava cercava di ricondurci alla realtà e al contingente, invitandoci a rimetterci in macchina.

Massimo Conocchia

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