La piazza per l’Europa tra scommesse vinte e contraddizioni insanabili

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La piazza di Miche Serra, alla fine, ha risposto in massa. Un successo di partecipazione evidente, segno che quando si toccano senza speculazioni alcune sensibilità, la gente risponde.

Tra i partecipanti intellettuali, scrittori, gente dello spettacolo che ha contribuito a dare una maggiore valenza alla manifestazione. Se sul piano partecipativo non vi è dubbio della piena riuscita della manifestazione, su quello più schiettamente politico e di alternativa all’attuale governo, le cose si complicano e non poco. In quella piazza coesistevano, ostentatamente, forze con idee e sensibilità diverse, persino tra loro antitetiche.

Qualcuno, che pure rappresenta un consenso ampiamente superiore alle due cifre, ha preferito disertare. Altri sono intervenuti con le loro bandiere, quasi come a distinguersi e sottolineare le loro singolarità in una piazza che avrebbe dovuto , almeno stavolta, lanciare un messaggio unitario.

Ed è proprio su questo piano che la piazza del 15 marzo rappresenta, pur nella sua massiva riuscita, la profonda debolezza del centrosinistra, che, sebbene ancora maggioranza nel Paese, non lo è – ed ha scarse prospettive di diventarlo – come alternativa di governo. Nell’ottobre del 2022, il fronte che si opponeva a Giorgia Meloni ha preso un milione e mezzo di voti in più rispetto a chi ha vinto ma non sono serviti a nulla se non ad alimentare la convinzione nell’elettorato di sinistra della sostanziale inutilità della loro partecipazione.

Dopo due anni e mezzo di pessimo governo e di scelte scellerate su più piani, sociale e welfare, giustizia, scuola, politica ondivaga sul piano internazionale, migranti, scandali pressochè costanti che hanno interessato componenti importanti dell’esecutivo, l’attuale maggioranza continua a godere di ottima salute. Masochismo dell’elettorato o incapacità degli altri di essere credibili sul piano di un’alternativa concreta? Lo stesso PD si sta gradualmente ravvedendo sulla via di Damasco e sta – con sapiente manovra dei cattolici moderati – cercando di esautorare un segretario, reo di avere provato a parlare un linguaggio unitario e di sinistra, avendo tra l’altro capito che senza alleanza con i 5S non c’è possibilità di vittoria.

Vengono ripescati autorevoli rappresentanti di un passato che ha lasciato sul campo morti e feriti. L’Ulivo, se sul piano prettamente elettorale è riuscito per due volte a vincere risicatamente contri Berlusconi, sul piano del governo ha avuto vita breve e tormentata, caduto sotto il fuoco amico di quegli stessi artefici che lo avevano creato. A ben guardare, oggi, il fronte del centrosinistra appare molto più frammentato e diviso rispetto ai tempi di Prodi, che pure oggi viene usato per distruggere l’unica che ha tentato un linguaggio coerente con l’anima più rappresentativa di quella forza politica.

Ai cattolici del PD non interessa affatto creare una coalizione vincente, importa, al contrario ricreare una forza moderata e ondivaga che permetta loro di esistere e continuare a vivacchiare. Giuseppe Conte, dal canto suo, appare anch’egli impegnato in una battaglia personale che sancisca l’esistenza di una forza del 10% capace solo di portare avanti alcune battaglie. I cosiddetti centristi rappresentano al meglio il cerchiobottismo tipico delle loro origini e, per ciò stesso, sono tutt’altro che affidabili compagni di viaggio.

Il quadro che emerge è desolante. Lo è ancora di più per chi, come noi, capisce che con queste premesse, a poco più di due anni dalle  elezioni, le prospettive di un’alternativa sono pressochè nulle, con buona pace di quelle migliaia di persone che genuinamente hanno risposto all’appello di Michele Serra.

Massimo Conocchia

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