Le caggiaròle

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Da ragazzo andavo sulla gradinata della chiesa di S. Maria Maggiore, dove, nelle sere d’estate, si riunivano gli anziani del rione Padìa. Era il rione più vecchio del paese. Là si raccontavano storie, leggende e altro. Io, curioso di conoscere, m’intrattenevo con loro e li sollecitavo a narrare.

Uno mi indicò tre curiose gabbiette di ferro poste sotto la grondaia del palazzo di fronte.

“Quelle sono le caggiaròle e ricordano una delle tante storie di questo rione. Me ne raccontavano gli antichi”.

Alla mia richiesta di sentire la storia, così incominciò:

“Delle volte, quando soffia il vento di Mezzogiorno, si sente un lamento… È quello di tre persone malamente…

In quel palazzo abitava una famiglia ricca. Una sera fu bussato al portone. Aprirono ed entrarono tre persone. Rapirono i tre giovani figli e sparirono. Li portarono nei boschi e, dopo qualche tempo, chiesero il riscatto.

Quei maledetti erano costretti a spostarsi e i giovani, non abituati a una vita di disagi, pativano molto.

Fu inviato il riscatto. I rapiti tornarono a casa, ma, a causa dei disagi, uno dopo l’altro, in poco tempo, morirono.

Il padre morì di dolore. La madre, donna energica, spese moltissimo per far rintracciare e catturare i tre. Li acciuffarono vicino al confine con lo Stato del Papa. Li portarono a Cosenza e li processarono. Furono condannati a morte. Gli mozzarono le teste e le misero nelle caggiarole, sotto la grondaia del palazzo.

Quei lamenti sono i loro…”.

  • Chi erano quei tre?

“Gli antichi lo dissero così:

Persi la fama sua Nicola Renni,

Duminicu Palazzu ccu’ Sidòru,

cà ‘na signùra, ccu’ modi e ccu’ ‘ngegni,

fici mìntar’ ‘i testi ‘ncaggiaròla”.

È inutile dire che le numerose domande rivolte all’anziano rimasero senza risposta. Chiedevo: – Come mai fu aperto?-.

“Doveva essere qualcuno conosciuto”, fu la risposta.

Da adulto ricercai. Il fatto, come ricavai da notizie traverse, era avvenuto nel 1700. Il processo era andato distrutto in un incendio al tribunale di Cosenza.

Francesco Maria De Simone dell’accaduto ne ha fatto una ballata e i versi recitati dal mio interlocutore li pose in nota.

Perché fu eseguito il rapimento? Non si ha risposta.

Vincenzo Padula così ne scrive: “Giuseppe Civitate che nel 1709 con Rosanna Lepera generò Livia (che si fé monaca di S. Chiara in Rossano), Pietro Paolo, P(ietro) Antonio e Nicola. Mentre studiavano si bussò dal domestico, che chiedeva la chiave della stalla, e v’introdusse una schiera di assassini, che presero i tre fanciulli. Invano si mandò denaro: il capobrigante era stato al servizio di Civitate e per un’ingiuria ricevuta avea giurato di sterminarne la famiglia. Il Civitate allora li perseguitò in modo, che furono arrestati nello stato romano, ed in Cosenza condannati a morte con doversi porre le loro teste nella facciata del palazzo in Acri. P(ietro) Paolo fu ucciso; P(ietro) Antonio ritornò cieco, Nicola morì dopo un mese, poco dopo il cieco morì pure”.

Altri ripeterono stancamente quanto abbiamo riportato.

Giuseppe Abbruzzo

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