Pillole di umanità, rivestite, a rilascio prolungato
All’apparenza era un uomo rude, poco incline al dialogo e ancor meno alle smancerie. La campagna di Russia, gli eventi che ne seguirono, l’assideramento, la prigionia, la fame, lo avevano indotto a una sfiducia di fondo nell’uomo. Si era pertanto adattato al mondo nel quale ha vissuto, sviluppando una scorza dura e impenetrabile, almeno all’apparenza.
Un giorno, dopo una sbornia sonora, non avendo la forza di ritornare a casa, si era adagiato sotto una tettoia per ripararsi dalla pioggia incessante. I passanti, conoscendolo, si guardavano bene dall’avvicinarsi. Nostro padre, di ritorno dal di Là Mucone, lo riconobbe, lo caricò sul mulo quasi fosse un sacco di patate e lo condusse a casa.
Lo aiutò ad aprire la porta e lo adagiò sul letto. I fumi dell’alcol non gli avevano impedito di ricordare l’evento, in nome del quale – pur senza ringraziamenti formali – serbò sempre verso chi era stato gentile con lui un atteggiamento di rispetto e riconoscenza. Se ne presentò l’occasione qualche anno dopo, quando, in seguito a una caduta, nostro padre fu costretto a letto per sei mesi.
Il tipo di lavoro autonomo e i tempi, avevano reso quell’evento una tragedia per una famiglia numerosa che dipendeva totalmente da quel lavoro. La “libretta” permetteva di sfamarsi generando un debito consistente ma le prospettive non erano rosee. In quel contesto, dopo un po’, nostra madre cominciò a vedersi recapitare da qualche anonimo benefattore, a volte legna, a volte patate, olio o altri prodotti alimentari. Il tutto sempre di notte. Incuriosita da tanta beneficenza, una notte attese sveglia l’arrivo del vettore.
La sorpresa fu somma nello scoprire che si trattava di quel burbero personaggio. Decise di non farsi notare nostra madre. Una notte, però, dopo diversi mesi, quando il marito stava meglio ed era in netto recupero, fu lui stesso a farsi trovare per ringraziarlo.
All’apertura della porta, scappò come il vento né ci fu modo di fermarlo. Tempo dopo, infermo e non più in grado di muoversi, gli venne ricambiata la sua anonima generosità con altrettanta disponibilità, che lui mostrava a suo modo di apprezzare. Dopo poco il Comune si fece carico di trasferirlo presso una struttura a Serra Aiello e non si seppe più nulla.
Dopo tempo, a San Domenico, fummo colpiti da un funerale atipico: non c’era nessuno a dirgli addio. Ci fu difficoltà a permettere l’ingresso del feretro nella Chiesa per mancanza di persone. Le pompe funebri non esistevano ancora ed era il Comune a farsi carico del trasporto. Una cerimonia scarna e veloce.
Del resto a chi importava di quella persona così poco amata? Eppure, riteniamo che abbia meritato un posto di riguardo nell’aldilà più lui di tanti che pure passavano le domeniche a battersi il petto, salvo poi vivere nel più assoluto egoismo e meschinità di animo.
Quell’essere scontroso aveva compreso, più di altri, il vero senso dell’amore verso il prossimo e della carità, che non deve essere ostentata né rivangata. Prendersi cura di chi ha bisogno senza far rumore è il livello più alto di nobiltà d’animo e umanità.
Massimo Conocchia