Il fotoromanzo, prodotto deteriore o specchio di un’Italia tornata a vivere?

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Prendendo spunto da una recente trasmissione televisiva dedicata al tema, abbiamo deciso di approfondire la tematica del fotoromanzo e del suo grande successo nell’Italia del dopoguerra fino alla fine degli anni Ottanta. Il fotoromanzo nasce subito dopo la seconda guerra mondiale, nel 1946, ad opera della rivista Grand Hotel.

La formula ebbe subito successo, che andò incrementandosi negli anni successivi, tanto da passare dalle 100.000 copie a settimana del 1946 a oltre un milione di copie a settimana del 1953. Le altre due grandi riviste che si occupavano di fotoromanzi, Bolero e Sogno, viaggiavano sulle 600.000 copie a settimana. Tra i primi registi ad occuparsi di fotoromanzi, si annoverano nomi come Damiano Damiani, che firmerà, poi, alcuni dei film di grande successo del secondo Novecento. Tanti gli attori e i personaggi  di grido che inizialmente si impegneranno nei fotoromanzi, da Amedeo Nazari, a tante attrici, poi diventate famose, a Mike Buongiorno e tanti altri.

Il fotoromanzo, in realtà, nasce come prodotto strettamente correlato con il neorealismo cinematografico, tanto che alcuni grandi racconti verranno, poi, trasformati in film di successo, si pensi a “Catene” o “Tormento”. La politica, così come la Chiesa, snobberanno inizialmente l’evento, bollandolo come sottoprodotto culturale, il P.C.I., o frivolo come le gerarchie cattoliche

Qualche anno dopo, nel 1953, sia il partito comunista che la Chiesa, cambieranno posizione, sposando il fotoromanzo, per finalità di diffusione politico-ideologica o, come nel caso della Chiesa, per racconti e tematiche religiose, intravvedendo il grande potenziale di diffusione di massa dello strumento.

Comunque la si pensi, il fenomeno di raccontare attraverso la fotografia, con testi semplici e succinti, ha avuto il grande merito di arrivare a chiunque, senza contare il grande merito di avere contribuito a un’unificazione linguistica in un Paese che contava ancora tanti analfabeti o semianalfabeti, per i quali il romanzo raccontato con immagini era un sistema straordinario per affinare la conoscenza di storie e eventi e, comunque, godersi un racconto senza doversi impegnare molto nella lettura o nell’interpretazione.

Negli anni Settanta, il fotoromanzo fungerà ancora da trampolino di lancio per attori esordienti. Entrerà in crisi la fin tra la fine  degli anni Settanta e gli anni Ottanta, sia sotto i colpi dei fenomeni socio culturali che in quegli anni finalmente si affermeranno (femminismo, maggiore rivendicazione di un ruolo paritetico della donna rispetto all’uomo, il rifiuto crescente della donna di essere relegata tra le mura di casa) e che porteranno a identificare la platea di utenti del fotoromanzo a casalinghe e donne poco impegnate.

Questo sarà uno dei fattori della crisi, unita all’avvento negli anni Ottanta delle Tv commerciali che porteranno nelle case le telenovele molto più attraenti.

In ogni caso il fenomeno socio-culturale del fotoromanzo è stato notevole e ha avuto una funzione sociale rilevante e non può per nulla essere rilegato a semplice sottoprodotto culturale.

Massimo Conocchia

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