Pane e miele
C’era un fiore in mezzo all’eden, è piccolo, colorato, è profumato, pulito, è educato.
Imparava a crescere, chiedendo del mondo, sorridendo al sole, dormendo sotto le stelle, al caldo della coperta della sua innocenza, protetto dall’amore della famiglia, mangiando pane e miele perché pane e miele è buono.
È inverno, la tempesta scoppia improvvisa, è perfetta, violenta attimo dopo attimo il suo sorriso, ne fa scippo.
La pioggia è senza sosta, è gelata, lo bagna per ogni angolo della sua carne, per ogni angolo del suo cuore, per ogni punta dei suoi petali, lui, adesso, ha paura della vita, lui, da adesso, ha l’ansia di vivere, anche la neve è sporca, non la tocca più, non ne fa un pupazzo.
Alza gli occhi su in cielo dallo sprofondo che gli sembra della terra, le gocce sono giù per il viso, a chiedere “perché proprio io?” ma Dio non c’è, forse non esiste, forse, non è vero che gli interessano le lacrime dei piccoli fiori.
Il fiore è rimasto in silenzio, chi lo ascolta non lo capisce, nessuno gli risponde, nessun altro fiore lo consola, nemmeno il suo giardiniere che è confuso tra l’amore, la ragione e la rabbia della sorpresa.
Perde un petalo, poi un altro, adesso ha freddo, il buio gli fa paura, la coperta è corta ma il sole non riscalda più, lui non ha più fame, niente è più buono, neanche il pane, neanche il miele, non ne vuole più.
I giorni passano, le paure no, l’incertezza lo tiene stretto per mano “c’è la farò?”, gli rimane l’acqua, la luce, la terra sana, l’amore della famiglia, è solo l’essenziale ma può bastare, deve, lui non vuole sfiorire.
L’estate non lascia il ricordo, lui la spinge di fretta, la festa, il mare, i gelati non hanno gusto, lui ha paura anche del sole, lui vuole restare da solo.
Arriva l’autunno ma lui non altre foglie da dare di più, il gambo trema ancora, lui ha paura anche del vento.
Appena fuori dall’eden c’è un fiore che non conosceva, ha un nome strano, è più grande di lui, ne ha sentito parlare, gli altri fiori ignoranti dicono che cura i fiori stupidì ma lui non è ignorante, a scuola ha la media del nove e non si sente uno stupido ma, prima, ne aveva paura.
Gli si avvicina, gli parla, lui l’ascolta per ore, senza fretta e poi gli spiega “non avere fretta”, così diventano amici, adesso gli vuole bene, ne ha bisogno, lo calma, di lui si fida, lo tiene per mano e non la sente stretta, anzi.
È di nuovo inverno ma la pioggia scivola via più veloce, le radici bevono l’acqua, lui ne ha sete, adesso è fresca, le paure fanno meno paura, la neve è bianca.
Il fiore si tocca un petalo e poi un altro ancora, sono i suoi, rivede il verde e poi il rosso e tutti gli altri colori, piano, piano tornano a sorridere e lui, adesso, ha di nuovo voglia di pane e miele, ne chiede e il giardiniere è un’altra volta sorpreso “davvero?” ma stavolta piange ma senza lacrime, sono tutte ancora sul suo letto.
Non conosco la fine di questo racconto, è solo uno tra i tanti che non si raccontano o che non si ascoltano perché i fiori fragili negli eden apparenti sono ovunque, sono ciechi agli occhi, sono al buio della ragione, sono sordi all’evidenza, sono muti alla vergogna di dirsi diversi.
È un’epidemia silenziosa che confonde i capricci con tutte le paure di crescere, con l’ansia, il panico, il vuoto, quando al fiore piccolo manca, all’improvviso, il pane e il miele e quando ritrovarne il sapore, dopo il calvario dell’analisi, delle parole, dell’ascolto, della comprensione e dell’accettazione, è per dire che la vita è tornata ad essere buona perché il pane e il miele è davvero buonissimo, come la pioggia, come il sole, come il vento, come la neve.
Angelo Bianco