La fame in Roma e i pensieri del popolo romano

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L’Unità d’Italia era stata presentata come la panacea di tutti i mali agli abitanti degli “staterelli” della nostra amata penisola. I libri di testo l’hanno osannata. Ancora oggi si ripete l’identica cosa.

Se quell’unità era necessaria non produsse i frutti della propaganda savoiarda.

I Borbone si dicevano “la peggiore razza”. Il popolo meridionale arretrato, affamato ecc.

Noi che vogliamo vederci chiaro razzoliamo fra documenti e giornali. Uno di questi ultimi: La frusta, testata che la dice tutta, soppresso per ben 53 volte! Non è un refuso, avveniva nel regno d’Italia. Ma, non si era promessa la libertà di stampa?

Sul n. 3 del V anno (1874) leggiamo: “Per tutta risposta al Sig Ghiglieri pel nostro 53° sequestro, riportiamo dalla valorosa Unità Cattolica di Torino il seguente articolo non sequestrato e sfidiamo il Sig. Procuratore Regio ad intimarci il 54° sequestro:

 L’anno 1873 terminò in quasi tutta l’Italia con grandi voci di dolore. Queste voci non gridavano più né unità, né libertà, né indipendenza, né nazionalità, ma semplicemente fame. E fame si gridò a Bologna in un gran meeting, imprecando ai carnevali italiani; fame si gridò a Modena, inneggiando al Duca; fame si gridò in Roma, capitale del Regno d’Italia, ed un giornale che s’intitola il Popolo Romano, ed è a servizio del sindaco Pianciani, tesoriere de’ frammassoni, rivolse i suoi pensieri ai ministri di Dio!

Raccontava il Popolo Romano il seguente caso dolorosissimo avvenuto sulla fine dell’anno non nella Roma dei Papi, ma in Roma ben presto da quattro anni governata prima dai Lanza e poi dai Minghetti”.

Riportano d’una famiglia di impiegati finiti in miseria nera. Eloquente è la considerazione che si coglie nel citato giornale: “E pensare che vi ha della gente che riposa su monti d’oro; pensare che vi hanno dei ministri di Dio, che, invece di dare esempio di rassegnazione e di povertà, superbi come Lucifero, sono circondati da un fasto orientale!”.

La frusta: “E pensava perfino al Capo della gerarchia levitica, cioè al Papa! Potremmo rispondere per le rime ma saremo temperatissimi.

Ci scusi il Popolo Romano; questo momento ha avuto torto di pensare ai ministri di Dio. Avrebbe dovuto pensare piuttosto ai ministri del Regno d’Italia. Non sappiamo, che quando governavano in Roma i ministri di Dio, avvenissero casi come quello raccontato dal Popolo Romano. Allora Massimo D’Azeglio ne’ suoi Ultimi casi di Romagna (Italia, 1846, pagina 17), scriveva: “Il volgo italiano ignora, si può dire, la miseria, ignora la fame”. Il Papa era in Roma parens omnium orbatorum et peregrinorum, come Ennodio chiamava Papa Simmaco. E Voltaire stesso attestava: Rome moderne a presque autant de maisons de charité que Rome antique avait d’arcs de triomphe et d’autres monuments de conquétes” (Euvres de Voltaire, édit. De Kehl, tom. 49°, pag 239).

Ognuno commenti per sé. A proposito di fame si riporta il seguente sonetto:

La tortura de la fame

Jeri co Titta Sbrozzoli, er garzone

De l’orzarolo e co’ patron Andrea,

Annassimo a vedé drent’a Corea

Un moseo de novissima invenzione.

Un buzzuro fa lì la spiegazzione

E scantina o co tutta presumèa

Pe dà a d’intenne a la gente babbea

Che so’ stromenti de l’aqquisizione1.

Ce si’ tavole e chiodi fitti fitti,

Ferri e rampini, co’ catene e anelli,

Tutte miffe2 inventate da sti guitti,

Ma nun ce trovi mica in gnissun sito

La tortura che danno li fratelli

Ciové sta svojatura o d’appitito!?

1 – Inquisizione. 2 – Bugie.                                                                                 

Giuseppe Abbruzzo

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