Hanno ucciso il rione!

Bata - Via Roma - Acri

Hanno ucciso il rione! Non mi chiedete: – Chi l’ha ucciso? -, perché non so darvi risposta, ma so, di certo, che il rione è morto. C’è chi dice che sia stato il “progresso”, chi sostiene che sia stata la “civiltà”. Ognuno, insomma, come avviene per i delitti terribili sui quali si discute, fa le sue congetture, le sue supposizioni.

Il vecchio saggio dice la sua, come per le morti, delle quali non se ne conosce l’autore, e conclude, nell’idioma materno: – Cum’è juta e cum’è venuta… ‘u fattu veru è ch’è mùortu! (Comunque sia andata… il fatto vero è che il rione è morto!).

Resta, allora, il ricordo. Come per i decessi umani, se ne evidenziano i pregi, se ne cantano le lodi, ci si rammarica inutilmente.

Il rione per eccellenza – va evidenziato – era quello del popolatissimo centro storico.

Vi si sentivano i versi degli animali domestici; il canto del gallo, che faceva da orologio paesano; il vociare sottovoce di chi andava al lavoro di buon mattino; il parlottare dei ragazzi, che andavano a bottega, per apprendere un mestiere; i rumori prodotti dagli artigiani e, particolarmente quelli dei telai a mano… Era, insomma, un rione vivo.

D’estate, quando le scuole erano chiuse, mi sistemavo sul davanzale d’una finestra e aspettavo che alcune vicine, sempre le stesse, inziassero a litigare. Mi sembrava d’essere lo spettatore di un teatro all’aperto. Ricordavo che Goldoni aveva composto su questo una commedia: Le baruffe chioggiotte.

Le baruffe del mio rione erano usuali. Dopo la forzata tregua invernale si ripresentavano i problemi di sempre, fra i quali la vicina, che allevava animali in casa e il fetore e gli insetti infastidivano non poco; il gettare sulla strada ogni ben di Dio; l’inveire della donna, alla quale avevano rubato la preziosa gallina, ecc. ecc. Le grida delle antagoniste erano alte e accompagnate da gesti minacciosi e isterici. Le “jestigni” (imprecazioni) tipiche – erano vere perle per il contenuto – rimbalzavano da una bocca all’altra.

Non mancavano le madri che, fattesi sull’uscio, con un mestolo in mano, minacciavano il figlio discolo; le donne che non potendo sopportare le grida, il vocare alto e quant’altro inveivano contro i disturbatori.

Allora, i bambini, che vivevano nel rione erano centinaia, perché ogni famiglia ne aveva un bel numero. La loro custodia non era delle sole madri, ma sembrava che tutti fossero figli di tutte le madri che abitavano in quel luogo. Nessuno dei ragazzi osava rivolgersi in modo irriverente verso di loro, perché se si riferiva alle madri erano guai amari o, come evidenziava qualcuno: – Amarissimi! -.

La festa di qualcuno del rione era quella di tutti; così il lutto.

Le persone più povere avevano la solidarietà di chi stava meglio: si panificava? Si faceva una focaccia loro riservata, detta pezzenta. Così un tipo di salsiccia aveva lo stesso scopo e lo stesso nome. La solidarietà vi era di casa.

Col bel tempo i ragazzi, nella più fitta oscurità, giocavano a nascondino (libero, perché se qualcuno dei partecipanti raggiungeva un determinato punto e gridava: – Libero! -, bisognava liberare i partecipanti catturati. Quel gioco che può sembrare puerile, di fatto aveva uno scopo educativo; valeva a far apprendere, in un “mondo” facile, l’arte di sapersi mimetizzare.

Nelle afose serate estive, con la luna piena, centinaia di ragazzi, ci davamo convegno davanti casa dell’anziana: Za’ Rosa (si dava della zia alle anziane in segno di rispetto). Lo spiazzo ampio degradava come un anfiteatro e, quando tutti stavamo in silenzio, lei, Za’ Rosa, incominciava il racconto.

A volte il racconto narrava di maghe, maghi, streghe, spiriti (fantasmi), orchi ecc. Alla fine, in questo caso, era una prova di gran coraggio rientrare a casa. Si diceva, infatti, che quelle entità, a volte, rapivano i ragazzi, specie i discoli.

Potrei continuare, ma faccio punto.

Ora il mio rione, come tant’altri, è spopolato; abbandonato; l’erba vi cresce alta, anche per le strade. Regna un silenzio spettrale. Altro che progresso la denominazione più giusta è: L’abbandono!

Giuseppe Abbruzzo

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

error: - Contenuto protetto -