Un piacevole e istruttivo incontro

Avemmo l’occasione di conoscerlo per caso. Uno di quegli incontri imprevisti e imprevedibili che si fanno durante il nostro cammino quotidiano. Ci si imbatte, a volte, con persone che, in qualche maniera, senza volerlo, ci lasciano qualcosa di loro che, inevitabilmente, finirà per modificare il nostro modo di vedere le cose, per lo meno alcune cose. Eravamo in attesa dell’arrivo della navetta che avrebbe dovuto ricongiungerci al parcheggio dove avevamo lasciato la macchina, per poi tornare a casa.

Fummo colpiti da questa persona, adagiata sul marciapiede, sotto un sole cocente. Ci venne istintivo  avvicinarci e chiedere se fosse tutto a posto. Un cenno con la mano servì a trasmetterci il messaggio chestava bene. Ci chiese come mai ci fossimo avvicinati. “Di solito la gente non si cura di me e questo è un bene”. Spiegammo che ci eravamo preoccupati del suo stato. “Lei è un medico?”.

Rispondemmo affermativamente e cominciò a declinare le varie opinioni che, nel corso dei secoli, eminenti pensatori avevano di questa figura. “Montesquieu, ad esempio, diceva del medico: il met des drogues qu’il ne connait pas dan un corp qu’il connaitencor moins”. Spiegammo che dai tempi del filosofo francese ne era scorsa di acqua sotto i ponti e che la medicina, dopo Pasteur e ancor più nel Novecento, aveva acquisito un carattere meno empirico e più analitico e scientifico.

Cambiò argomento, non mostrandosi tanto convinto dalla nostra spiegazione. Di colpo ci chiese se fossimo felici e che cosa fosse per noi la felicità. La domanda era troppo impegnativa per rispondere frettolosamente. Lasciammo andare la navetta con l’idea di richiamarla da lì a poco. Chiedemmo di spostarci sotto la pensilina per uscire da sotto il sole.

Cominciammo ad abbozzare che per noi la felicità è essere contenti di ciò che si ha e di ciò che si fa. “Sbagliato – replicò – la felicità consiste nella capacità di allineare i propri interessi con quelli degli altri, possibilmente con quelli di un’intera collettività.

La felicità non collima con l’individualismo. Chi persegue solo i suoi interessi, non di rado in contrasto con quello degli altri, raramente è felice. La felicità è l’opposto dell’egocentrismo. Esiste uno stretto legame tra felicità e altruismo.

Se si riesce a rendere felici – o fare stare bene se preferisce – gli altri, generalmente ci si sente appagati e felici”. Rispondemmo che una siffatta visione corrispondeva, ad esempio,a ciò che fa il medico quotidianamente e ciò contrastava con il giudizio poco lusinghiero che egli aveva di questa categoria. “Io le ho solo esposto ciò che nei secoli si pensava di questa figura, non ciò che penso io oggi. Ritengo che ci siano molti suoi colleghi che trovino la felicità nell’aiutare gli altri e sono appagati da questo. l

Esiste, invece, una nutrita rappresentanza di suoi colleghi che cercano  felicità unicamente nel profitto. Ciò raramente rende felici, benestanti, forse, non felici”. “Le persone più felici sono quelle che hanno trovato il modo di migliorare non solo la propria esistenza ma anche e soprattutto quella degli altri. Ci sono persone che trovano questa forza nel volontariato, nelle missioni o, molto più semplicemente, nella loro attività quotidiana.

Se con il proprio lavoro si riesce a migliorare l’esistenza degli altri, quello vuol dire essere felici. Lei, evidentemente, trova soddisfazione e benessere nell’aiutare gli altri, diversamente non avrebbe perso tempo a chiedermi se avessi bisogno di aiuto”. Replicammo che la nostrasarebbe potuta essere solo la risposta a un imperativo etico e morale, che non necessariamente rende felici. “Quando si soddisfano i propri imperativi, inevitabilmente, si risponde a un moto dell’animo, onorando il  quale ci si sente appagati, dunque felici”. Mentre discutevamo arrivò la terza navetta e realizzammo che era passata un’ora; alzammo la mano per fermarla e ci congedammo.

Già durante il breve tragitto per andare al parcheggio le parole di quell’uomo, apparentemente comune, ci penetrarono nell’animo costringendoci a fare i conti con la nostra vita. In un attimo ci ritrovammo davanti decenni di vita, apparentemente uguali nel loro dipanarsi.

Ciò che, in effetti, aveva reso meno banale e inutile la nostra esistenza era stato proprio il mettersi a disposizione degli altri, cercare di rispondere ai loro timori, al loro malessere, cercando di alleviarlo. Aveva ragione quell’uomo, la fonte della felicità non sta nel soddisfacimento egoistico dei propri bisogni ma nel cercare di rendere migliorie la vita degli altri; se poi questo lo si fa come lavoro – con tutti i limiti imposti dalle nostre specifiche umanità – allora ci si può ritenere fortunati. Non abbiamo la presunzione di avere centrato l’obiettivo ma le parole di quell’uomo ci hanno dato la sensazione di essere sulla strada giusta, null’altro.

Massimo Conocchia

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