Sarcasmo, ironia e intelligenza pratica

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Giorno 2 gennaio scorso, nel corso della consegna dei file delle quaranta annate di “Confronto” al Comune di Acri, parlai del sarcasmo e dell’ironia usate nella giusta misura e nel rispetto della persona.

Nel parlarne mi venivano in mente due amici, che militavano in fronti contrapposti: Antonio nel PCI e Francesco nella DC, entrambi abbonati a “Confronto”. Erano lettori attenti, pur non avendo che la licenza di V elementare. Avevano, però, intelligenza pratica.

Ci incontravamo più volte e discutevamo, perché non ho mai avuto avversari politici. Per me erano solo persone che la pensavano diversamente da me e, perciò, ci rispettavamo a vicenda.

Antonio era lettore assiduo de “L’Unità”, il giornale del PCI. Ammiravo il suo comportamento con chi militava in altri partiti diversi dal suo. Discuteva pacatamente, a differenza dei tanti, e, quando dissentiva, dopo aver detto e controbattuto, dovendo far rilevare che lui la pensava diversamente dal suo interlocutore, diceva semplicemente guardandolo negli occhi e guardando me: – Però, “L’unità” non lo dice! -.

Tutto finiva lì.

La tolleranza di Antonio non poteva non colpirmi e quella sua espressione, ripetuta in più occasioni, mi è rimasta impressa nella mente.

Francesco, dopo aver letto “Confronto”, quando ci incontravamo amava esprimere il suo punto di vista su alcuni articoli. L’ascoltavo, perché volevo capire come si poneva chi la pensava diversamente da me, di fronte ai problemi e ai temi riportati.

Quei riscontri mi servivano, anche, per correggere il tiro, se ve ne fosse stato bisogno.

Come detto quanti collaboravano sapevano bene che la persona umana era sacra. Interessavano i fatti e se contrastavano con il bene comune e con quanto ne conseguiva si era d’accordo nel criticare il fatto non chi l’aveva commesso.

Più d’uno, come sottolineava Massimo Conocchia, nel suo intervento ha provato a farci entrare nella bagarre, con attacchi personali ed è stato bloccato.

Uno faceva rilevare d’aver scritto contro chi si era schierato e aveva detto cose contro di me.

Lo bloccai, facendo rilevare che per le sue invettive non doveva coinvolgere altri, ma servirsi del manifesto murale, firmandolo e assumendosene le conseguenze.

Dopo la giornata del 2 c’è stato chi ha inteso ridire che un suo scritto su una persona non era stato pubblicato. La risposta, da parte mia, è stata sempre quella su riportata.

Dopo l’inciso, ritorniamo all’amico Francesco. Lui, dopo commenti vari su quanto letto sul Periodico, diceva: – Tu, però, dici le cose non in modo violento, ma garbato… Tu ammazzi con garbo tale che fai divenire piacevole, perfino il morire… -.

Né io, né i collaboratori di “Confronto” volevamo “uccidere” nessuno, in senso metaforico, ma esponevamo, come detto, fatti, facevamo il commento alla cronaca e se qualcuno aveva da fare il “mea culpa”, non era certo colpa nostra.

L’importante era salvaguardare la persona e far rilevare che noi eravamo là a evidenziare quanto si metteva in atto in modo subdolo o meno contro la collettività.

Credo che la longevità del nostro periodico vada cercata anche in questo.

Ho voluto scrivere tanto per evidenziare, soprattutto, come l’intelligenza pratica e il comportamento corretto non abbiano bisogno di grandi studi.

Si continui pure a recriminare, perché su “Confronto” non si sono voluti pubblicare attacchi personali, perché quello che sembra un appunto per mancanza di coraggio, per me, è correttezza e rispetto dell’altro.

Giuseppe Abbruzzo

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