Buon Capodanno!

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Il nuovo anno non si sa come sarà, cosa ci porterà, siamo certi, però, di quello che ci ha portato quello che stiamo per lasciare. Malgrado tutto ognuno si augura e augura, sempre, che il nuovo anno sia migliore di quello che si lascia alle spalle.

Allora, si festeggia, con la messa in atto di un rito propiziatorio dove non manca il cenone, lo spumante ecc. ecc., e, poiché ogni festa, compreso, ovviamente, il Capodanno, ha assunto una base estremamente consumistica, facendo la gioia di chi spera d’incassare sempre di più.

Il cittadino è quello che deve procurare quella gioia, consumando sempre di più e spendendo, sempre di più in regali, tante volte ripetitivi o inutili. Ma… bisogna far festa. E così sia!

Il rito propiziatorio, ormai, consolidato nel tempo, ha inizio con le stesse modalità di sempre.

Noi curiosi, ci diamo da fare, ricercando su vecchi testi, per sapere come vivevano il Capodanno i nostri antenati; i doni che si scambiavano, le strenne. Ci imbattiamo nel Capodanno degli antichi Romani. Ci incuriosiamo e, pensando di far cosa gradita ai lettori, li mettiamo a parte.

Gli anzidetti, il primo gennaio, va evidenziato era dedicato al dio Giano – quello che, come ognuno sa, aveva due facce -, e lo festeggiavano con cene e doni.

Veniamo, però, al dono tipico dei Romani. Costoro si regalavano lampade di terracotta o di bronzo, a seconda delle possibilità economiche. Su di esse si leggeva il messaggio augurale per un anno fausto e felice: Anno novo faustum felix tibi sit!

Le lampade, va precisato, portavano dipinta o incisa la figura della Vittoria alata, la quale sosteneva lo scudo, sul quale era inciso l’augurio riportato. La vittoria simboleggiava la sconfitta dell’inverno e il trionfo del Sole.

Non finiva qui. Nella trasmissione degli auguri, con i doni suddetti, non mancava di un’altra immagine augurale: quella del dio Giano che, come detto, aveva due facce: una contrapposta all’altra. Si chiederà: – Ma, perché quel dio? -.

Bisogna sapere che egli possedeva le chiavi, che aprivano tutte le “porte”, comprese quelle che, in questa ricorrenza dovevano aprire quelle che introducevano nel luogo dove vi era quanto di buono e di bello ci si aspettava nel nuovo anno e che si augurava a chi si davano i doni dei quali s’è detto.

Ai giorni nostri, in modo più prosaico, accludiamo al dono un bigliettino con gli auguri in vario modo formulati.

Il rituale di sempre, inoltre, è ben noto ed è inutile ripeterlo. Una vecchia usanza, non sappiamo se ancora vi si dia credito era quella di non ricevere, per primi, gli auguri di persone anziane e quelli delle donne. Si riteneva che, per avere un anno nuovo propizio, bisognava ricevere gli auguri da un maschio giovane.

Si usa ancora prestar fede a tanto? Non lo sappiamo. Sappiamo solo che i migliori auguri sono quelli formulati, come si dice comunemente, col cuore.

A noi, per l’occasione, dopo la precisazione, che si spera sia piaciuta, non resta che formulare, in modo più prosaico e usuale, ma tanto sentito: Felice Anno nuovo!

Giuseppe Abbruzzo

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