L’Umanità

Bata - Via Roma - Acri

È la sera di Natale, sto rientrando a casa, il viaggio è stato breve, Carrara-La Spezia, è tardi, fa freddo e non c’è un parcheggio manco a pagarlo.

In fondo alla mia strada c’è una ambulanza, ha le portiere aperte, i lampeggianti illuminano di blu la notte e anche l’ultimo posto libero, altrimenti, senza, non l’avrei visto, è stretto, ci sto appena, è quanto basta ed è gratis.

Esco dalla macchina modalità sardina e, contemporaneamente, escono dal portone del palazzo due ragazzi, sono due volontari della pubblica assistenza, che tengono sotto braccio una donna anziana, dietro c’è la figlia, almeno immagino, ha in mano un borsone. Mi fermo “sono un medico, avete bisogno d’aiuto?” e il più giovane “no dottore, grazie, ha la febbre alta, preparo la barella e andiamo in ospedale”, la nonnina mi accenna un sorriso, la figlia “sono degli angeli, è Natale”, io stringo gli occhi.

L’ambulanza riparte, le sirene sono spente, non è un’emergenza, la nonnina arriverà in ospedale e tutti faranno tutto quello che serve per aiutarla. I ragazzi hanno fatto il loro anche se è la sera di Natale, anche se è tardi, anche se fa freddo, anche se tutti i loro amici stanno ancora mangiando il panettone, anche se nessuno, domani, se ne ricorderà più di dirgli ancora  “grazie!”

Il volontariato è una meraviglia alla quale non mi abituerò mai, come alla retorica de “la medicina è una missione”, utile a chi ha mille ragioni inutili da dire quando, invece, è una è una sola:

chi sta male ha diritto alla cura, sempre.

Non conosco Flavio Catalano, è di Acri, è un mio paesano, è “emigrato” come me in Liguria, potrebbe già bastare per averne amicizia. È amico di un mio collega, Alberto Nardini, quando lavoravano entrambi per Emergency, dove lui, pensionato, è, ancora, in forza alla “Life support”, volontario tra le barche impegnate nel salvataggio dei migranti del Mediterraneo centrale, mentre Alberto, in tempo di Covid, è tornato a lavorare in PS e questo basta ed avanza per averne onore e stima di amicizia di entrambi.

Il 28 Dicembre è ad Acri, Flavio terrà una conferenza, porterà la sua esperienza di umanità, spiegherà cosa significa difendere i confini dell’umanità dalla barbarie inumana dell’intolleranza, sempre, lucidi si, lucidi no.

L’anno che sta finendo porta con sé l’orrore della guerra, che sta seminando morte in troppi scenari ciechi e sordi all’ipocrisia della cosiddetta civiltà europea, che si reca in Chiesa, facendosi il segno della croce in un bagno di sangue innocente, discettando amabilmente, in punta di diritto internazionale, nella scelta dei ruoli, tra chi ha torto e chi ha ragione mentre ogni giorno, in mare e in terra, muoiono bambini senza nessun torto e senza nessuna ragione umana.

Flavio è un esempio di quanto dovrebbe essere il dovere di un uomo difronte al dolore che è “soltanto” profondere aiuto sanitario ed umanità civile, prescindendo da ogni altro sofismo sociale narrato sul comodo di un divano, abiurando altra soluzione che non sia quella di salvare, dalla forza del mare, anime e corpi che la sfidano perché fuggono dalla miseria, dalle torture, dagli stenti in cerca di una speranza, rischiando anche la morte perché è la vita che adesso fa loro più paura.

Flavio mi ha promesso che al ritorno da Acri finalmente ci prenderemo un caffè insieme “c’è il bagagliaio della mia macchina a tua disposizione”.

Io ho già ordinato a mia sorella buccunotti, soppressata e provola, sono cose buone, ma è della sua umanità che voglio farmi un’abbuffata, è cosa buonissima e, ultimamente, se ne trova sempre più raramente, soprattuto, quando è sera, quando fa freddo, quando è la sera di Natale, quando la speranza non ha più posto assegnato perché qualche pifferaio racconta che ci sono i confini dell’intolleranza da difendere, lucido no, ignorante, si.

Angelo Bianco

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