Riflessioni su “Gravidanze del cuore” di Francesco Curto

Sono profondamente grato a Francesco Curto per il suo Gravidanze del cuore, di cui gentilmente mi ha fatto omaggio, perché non solo mi ha fatto scoprire in un caro amico di lunghissima data un poeta raffinato e profondo che mi ha fatto provare, attraverso la lettura, sensazioni ed emozioni. Questo piccolo volume è diventato per me uno scrigno di splendidi gioielli che ti catturano per la loro grazia e lucentezza. Sono poesie diverse per tema e spessore l’una dall’altra, ma tutte ti colpiscono per la loro incisività, per il modo in cui mettono a fuoco un momento di gioia o di dolore, di speranza o di paura, o focalizzano un problema generale o un tema sociale, oppure descrivono situazioni, comportamenti e persone.

Poesie che finiscono per piacerti così tanto da tornare a rileggerle più volte in momenti e tempi diversi, allo stesso modo in cui in certi momenti torni a riascoltare un disco di canzoni del cantante preferito. Rileggere più volte la stessa poesia di Francesco vuol dire tornare a riprovare e rivivere le emozioni e anche le riflessioni sperimentate alla prima lettura con in più, talora, la scoperta di nuovi sensi e significati non colti al primo incontro.

Nel titolo è riassunto il senso della raccolta: la Poesia, quella con la P maiuscola, nasce dal cuore di chi guarda il mondo intorno a sé con gli occhi del disincanto, dell’empatia e dell’amore. Non importa se molte volte dal travaglio del cuore non nascono delle poesie; la sconfitta ci può stare. Anche se si resta a mani vuote il sogno vero del poeta resta (v. La poesia p.33). In fondo il poeta è un “sognatore venditore di sogni che non costano nulla”, un “paroliere ambulante senza fissa dimora”; due immagini bellissime che colgono l’essenza della poesia di Curto, che con i suoi versi ti accompagna nei suoi sogni e si serve delle parole per rappresentarli, per costruire arcobaleni e comunicare gioia e amore.

Curto ha piena consapevolezza del suo essere poeta e del ruolo che la poesia può svolgere nella vita e nella storia dei singoli uomini.  Se è vero che “i poeti non cambiano il mondo” è anche vero che senza la poesia il mondo è più vuoto e triste e la vita senza poesia è insipida e vuota come un pane senza lievito.  Ma essere poeta e fare il poeta non è facile. Curto riconosce di avere una cartella dove infila alla rinfusa “foglietti di carta con versi presunti”, versi che vorrebbe dimenticare, che invece rimangono lì, nella coscienza, scottano e rumoreggiano. E la difficoltà dell’essere poeta sta proprio nel mettere ordine in quella cartella che porta sempre con sé. 

Quello dei poeti è un destino crudele: è amato dalle persone innamorate che ritrovano nei versi dei poeti le espressioni più complete dei loro sentimenti e delle loro passioni, e allo stesso tempo è odiato dai potenti perché non trovano nelle poesie la celebrazione o l’esaltazione delle loro presunte imprese. I potenti cercano servi e adulatori e il poeta non può esserlo perché i suoi versi nascono dalla sua anima, dal suo cuore, e sono espressione di libertà.

Curto poeta si descrive attraverso una serie di immagini vivide e incisive: si sente un vecchio bambino che gioca tra le macerie del mondo, un profeta che parla per chi non può parlare, un costruttore di sogni che raccoglie come fiori nei campi della vita; si sente come uno di quei tanti versi infilati nella cartella, che è la sua coscienza, rimasto confuso e sperduto. Non è interessato a quello che diranno di lui, che era un innamorato della vita, perché la morte mette tutto a tacere, per questo egli sente la morte come la sua unica amica, che non guarda in faccia a nessuno e non fa privilegi a nessuno.

I poeti, si dice, sono i più grandi sognatori, i veri costruttori di ponti sospesi sul nulla che portano a realtà diverse da quelle che ci stanno a fianco. I poeti ci regalano sogni e di sogni abbiamo bisogno tutti e per questo leggiamo poesie, perché vogliamo sognare una realtà diversa, magari presi per mano e guidati da qualcuno che ha una sensibilità maggiore e ci fa provare speranza, amore, felicità ma anche di tristezza e dolore. Con i suoi versi Curto ci regala sogni, che lui raccoglie di notte e “conduce come treni inesistenti”. In una sua poesia confessa che la sua missione è “gonfiarti l’anima di sogni/ per farli sbocciare come rose / all’alba domani senza giorno”. Ma il sogno del poeta non è pura fantasia ma è trasfigurazione della realtà o forse osservazione della realtà da una prospettiva insolita, è l’espressione di un desiderio intimo e profondo che ricorda tanto i sogni che si fanno quando si dorme. Il sogno è quanto di più personale il poeta possiede, e tuttavia lo condivide con gli altri; nel sogno il poeta trova la sua libertà più vera, quella che nessuno mai potrà togliergli.

Con i suoi versi Curto non ti accompagna solo tra i suoi sogni, ma ti porta a guardare la realtà in cui viviamo, dove si alternano, in un ciclo continuo, gioie e dolori, allegria e tristezza, amore e odio. Ecco allora il poeta soffermarsi a guardare le immagini drammatiche dei tanti disperati che sbarcano sulle nostre coste per inseguire un sogno, una speranza o per sfuggire a una sciagura certa. Ma troppo spesso quel sogno è quasi sempre tristemente accompagnato dalla morte di quanti non sono riusciti a trovare un approdo amico. Oppure ricorda le donne della sua terra che tornano la sera stanche e sfigurate dopo un’intera giornata passata a raccogliere le olive.

Quello che viviamo è un tempo duro, grida in alcuni versi che, pur scritti anni addietro, sembrano descrivere la realtà di oggi sconvolta da focolari guerra accesi in diverse parti del mondo. Eppure, si tratta di una realtà immutabile, è anzi il sempiterno tempo del mondo dove, ieri come oggi, “non hanno più lacrime né pane gli ultimi della terra”. Dolore e disperazione canta nel vento il poeta, un dolore che nessuno può lenire o alleviare, neppure le stelle che tutto osservano.

Quella che viviamo è una realtà complessa e difficile, nella quale ogni tanto ti fermi per capire dove ti trovi e a che punto sei arrivato, per interrogarti se il momento o il luogo in cui sei è quello di arrivo o quello di partenza. Questi interrogativi emergono nei versi di “Allora a che punto siamo?”. Dietro un apparente virtuosismo giocato con le espressioni in cui occorre la parola punto, il poeta descrive il disagio di trovarsi, pur tra i tanti punti fermi, a un punto morto. Per questo, in modo sconsolato conclude che tra tutte le incertezze non ci resta che puntare sulla morte.

Dalla lettura dei versi di questo volumetto emerge il mondo interiore ed esperienziale del poeta, i suoi sentimenti, le sue passioni, i suoi sogni, le sue speranze e i suoi ricordi. I ricordi della terra d’origine con la fatica e le pene delle donne e degli uomini impegnati nel duro lavoro dei campi o dei vecchi che al termine della giornata seduti in fronte al sole rievocano i giorni terribili della fame e delle tribolazioni della loro gioventù. Ora guardano verso i monti dove tramonta il sole immaginando al di là di quelli un mondo diverso.

Il ricordo della terra d’origine fa da contraltare alla terra d’elezione dove il poeta oggi vive, in sintonia con il santo umbro di cui condivide il nome e con il poeta perugino Sandro Penna di cui condivide sia le vie della città che le vie della poesia. Amori e ricordi di persone che hanno segnato la vita del poeta; e al primo posto quello della madre, alla quale dedica la tenera e appassionata lirica che apre l’intera raccolta.

Sono versi di amore di una tenerezza struggente quelli in cui evoca i luoghi e i momenti in cui madre e figlio comunicavano allora e comunicano ora anche senza parlare: tanto intesa era ed è la loro relazione. E altre figure e altri amori che hanno accompagnato e scandito la vita del poeta si intravvedono in tanti versi, che sia la sposa di maggio o la donna sognata per la quale raccogliere ranuncoli per coprirla di festa.

In sintesi, un’antologia di poesie dense di significati e immagini che fanno bene al cuore di chi leggendole prova emozioni e suggestioni forse simili a quelle del poeta ma anche molto distanti.

Mauro Pichiassi

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