Giustizia e Ingiustizia

Mario Mandalari (1851-1908) è un letterato e storico calabrese del reggino, scrisse e pubblicò saggi, ma non disdegnò di collaborare a giornali dell’epoca.

In un mensile di fine Ottocento pubblicò un racconto, in dialetto reggino, dal titolo: Giustizia e Ingiustizia. Scriverli con lettera maiuscola è necessario, perché il popolo calabrese personifica esseri viventi e non ecc.

L’autore, dubitando che si potesse apprezzare il racconto riportato e scritto in un dialetto difficile a comprendersi, e, certamente, ritenendolo di non poco interesse, ma, forse troppo eloquente per quei tempi, ne fece, anche una traduzione, che proponiamo ai lettori, perché vi meditino sopra.

Va detto che, nei tempi andati, si recitava il seguente detto: Duv’ ‘u judici penni ‘a giustizzia mori (Dove il giudice propende la giustizia finisce).

C’era, anche, chi riportava che, nei tempi passati, viveva fra noi un certo Saverio, non meglio identificato. Se si volevano risolvere i problemi di giustizia bisognava jettarsi ‘mpiedi a lui (ossia esporgli il problema e impetrarne la soluzione). Da Saverio ovviamente non si poteva andare con le mani in mano e lui, ascoltata la richiesta, diceva il da farsi, per ungere le ruote dell’ingranaggio e far sì, che, più volte, la Giustizia perisse in favore dell’Ingiustizia.

Qualcosa di similare doveva avere sott’occhio Mandalari, che racconta, come si riporta nella sua versione italiana, premettendo: “Propongo la seguente versione letterale e trascuro le osservazioni su certe locuzioni speciali di quel dialetto”. Si riporta pedissequamente:

“Una volta la Giustizia e l’Ingiustizia se ne andarono (per mangiare) in una taverna. Si sedettero tutte e due in una panca e incominciarono a chiamare mangiare (cose da, ovvero, il) e chiama, chiama, chiama mangiarono (tanto) che stavano sparando (crepando).

Al fare de’ conti, non avevano danari nessuno de’ due e cercavano (l’opportunità) per sfilarsela, (svignarsela, andarsene). Il taverniere s’accorse ed incominciò a dire: – Pagatemi il conto -. E si piantò in mezzo alla porta. L’Ingiustizia gli disse: – Non voglio pagare -.

Il taverniere cominciò a gridare: – Giustizia, Giustizia, dov’è la Giustizia? -.

C’era un servo ed andava trovando (il luogo) dov’era la Giustizia. Tanto fece che all’ultimo (finalmente) la vide ingrognata sotto il letto. Il servo alzò (sollevò) la coperta e le disse: Uscite al piano, perché l’Ingiustizia mangiò, si riempì e non vuol pagare.

La Giustizia rispose di là sotto: – Non posso uscire -.

– E perché? – rispose il servo.

– Perché mangiai anche io la mia parte: gli disse la Giustizia”.

Il Mandalari annota: “Questa fiaba m’è stata favorita dal signor Ettore Pannuti, di Bagaladi, comune del mandamento di Mèlito Porto Salvo”.

Il Pannuti raccontò quanto riportato a proposito di cosa?

Non è possibile rispondere all’interrogativo ma, certamente, doveva avere presente qualcosa che commentava con quel racconto, senza fare riferimenti precisi a persone dell’epoca.

Giuseppe Abbruzzo

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