“Fiabe al telefono”: la maestria di Gianni Rodari scrittore e pedagogista al tempo stesso
Sono trascorsi più di 60 anni dalla prima edizione di “Fiabe al telefono” di Gianni Rodari. Il libro conserva ancora oggi tutta la sua freschezza e originalità. Lo scrittore do Omegna aveva una particolare maestria e dal suo genio sono usciti testi di immenso valore. Fiabe al telefono sono una serie di racconti che un ragioniere, costretto per lavoro a essere fuori casa, raccontava tutte le sere – alle 21 precise, né un minuto di più né un minuto di meno – alla figlia. Si tratta di brevi e incantevoli storie attraverso le quali l’uomo teneva vivo e vitale il legame con la figlia, malgrado la distanza fisica. Ecco che, di colpo, ci si trova facilmente coinvolti in un mondo fantastico fatto di strade lastricate di cioccolata, di palazzi fatti di gelato, di uomini di burro e così via. Tutto vero? Certo, basta crederci. Lo stratagemma era così incisivo che noi stessi, nell’impossibilità di farlo direttamente, a volte, utilizzavamo questo strumento, attraverso il quale riuscivamo a fare in modo che i figli si addormentassero con le storie fantastiche che prendevamo direttamente dal libro di Rodari.
Non esistono, purtroppo, ricette preconfezionate – meno che mai linee guida – su come fare i genitori. Ognuno, a suo modo, cerca di fare del suo meglio oscillando, per quanto ci riguarda, tra l’eccesso di buonismo – per compensare una presenza fisica non sempre costante – con sparute posizioni più ferme, che forse finivano più per confondere che per educare.
I cosiddetti “no che aiutano a crescere”, tanto cari a una certa pedagogia, non sono così facilmente gestibili e l’incapacità di dosare il buonismo e la tenerezza con un atteggiamento più deciso rischia spesso di mettere in crisi la spontaneità di un rapporto, che dovrebbe giovarsi sempre e comunque di un atteggiamento affettuoso e positivo, non è sempre possibile da tenere. Dosare affetto, concessioni, rigore, sensi di colpa per le volte in cui non ci è sembrato di essere all’altezza è una delle cose più difficili da fare. Rodari ci dava spesso una mano. Attraverso le sue storie si imparava a trasmettere ai figli non solo tenerezza ma anche, non infrequentemente, valori, concetti, messaggi malcelati che emergevano con immediatezza da alcuni componimenti.
Ricordiamo, ad esempio, “Como in comò”, poesia giocosa che ha come fine ultimo quello di insegnare come un semplice accento possa mutare profondamente il significato di una parola. E come dimenticare la poesia sulla “testa”, nella quale si insegna che questa parte del corpo, se scarsamente utilizzata, ha poco senso. La conclusione, infatti, è “anche il chiodo ha la testa, però non ci ragiona; la stessa cosa capita a più di una persona”. Insomma, un insieme infinito di strumenti, attraverso i quali si può trasmettere ai propri figli affetto ma anche principi e concetti, diversamente troppo duri da far passare.
Non siamo in grado di definire quanto di positivo ci sia stato nel nostro modo di essere genitore. Sicuramente la parte nella quale leggevamo le fiabe di Rodari per telefono, rappresenta uno degli aspetti più teneri e che ci restituisce, ancora oggi, il senso di un rapporto empatico, cresciuto nelle forme e nei modi più convulsi ma nel quale, “canuti e stanchi”, ci specchiamo e ci commoviamo.
Massimo Conocchia