Così ne scrisse Padula II

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In precedenza si sono fatto sottolineature sulle “fiabe” e sulle “invenzioni”. Il Padula stesso è di questo avviso. Egli scrive, infatti: “Né cotesto genio per le fiabe deve stimarsi posseduto da noi soli delle meridionali provincie”. A documentare la sua affermazione ne riporta una sul “lago Iseo o Sabino in Lombardia”.

Continuiamo ora a riportare le “note” che l’abate acritano scrisse su altri paesi.

Tarsia. Ciò che mostra che il mondo era già fatto quando comparvero i Greci, popoli Ariani, è l’imbarazzo assai lepido, in cui si trovarono per intendere il nome di Tarso città della Cilicia. Tarso sorgeva presso il Cidno, per le cui acque navigò in costume di Venere la bella Cleopatra per presentarsi a quel felicissimo dei mortali, che fu Marco Antonio; e i Greci per intenderne il nome inventarono, secondo il loro stile, una favola. Colà, eglino dissero cadde Bellerofonte da cavallo, vi dette col tarso del piede, e la città che vi si fondò fu per questa ragione appellata Tarso. Poi vi pensarono meglio e soggiunsero Tersj in lingua nostra significa io secco: e di qui il nome a Tarso, per essere edificata in parte, che fu la prima a levarsi dall’acque del diluvio, e divenire asciutta.

E anch’ io, lo confesso, mi sentii imbarazzato per scovare l’etimologia di Tarso e Tarsia, che sono una cosa sola; ma fortunatamente trovandomi a camminare la riva Ionia, mi abbattetti nell’agro del Comune di Cassano in una pozza. Domando come si chiami, e mi si risponde Tarsia. Altri pochi passi, altra pozza più piccola, domando di nuovo, e mi si dice Tarsiella. Allora non dubitai più: Tarsia doveva significare pozzanghera, e di pozzanghere è piena tutta la riva del Ionio. Adunque Tarso e Tarsia sono l’ebreo Thalsar-Zeah, la fessura sordida. I braghi esistenti presso le rive del Cidno diedero il nome a Tarso, e la natura dei terreni melmosi, che facilissimamente si fendono, e divengono ricettacoli di lordure, lo diede a Tarsia nostra”.

Questa volta Padula riesce a sbrogliare l’etimologia, incontrando un vocabolo del dialetto cassanese.

Un doppio “nominativo” introduce il successivo paese, riportando una “prova storica”:

Bragalla, Altomonte. Ed eccomi ora ad adempiere la promessa fatta al lettore, dandogli la prova storica che i nomi dei nostri antichi paesi furono tradotti. Al 1337 Filippo Sangineto duca di Bragalla ne cambia il nome in Braello; poi non contento muta Braello in Altofiume, e re Roberto approvò. Ma ad un paese collocato sopra un monte dare il nome di alto fiume era una stranezza colossale: il bravo Don Filippo se ne accorge, ed apparecchiando il terzo battesimo cangia col consenso della Regina Giovanna il nome di Alto fiume in quello di Alto monte[1]. Questa è storia. Or io dimando: Perché il duca mutò Bragalla in Braello? – Perché le due parole sono sinonime in ebreo. Berekah, e, per contrazione greca significa stagno; e beer, e, per metatesi bree significa pozzo. Hal poi ed El valgono entrambi alto. Sicché Bracalla, o Brecalla erano a senno del Duca la medesima cosa che Breello, o Braello.

Domando di nuovo: Perchè mutò l’uno e l’altro nome in Alto fiume? Perché volle tradurre liberamente i due primi nomi; e dico liberamente, perché ad essere esatto, gli convenia dire Alto stagno. Ma in quel paese non essendo alcun pozzo o stagno, ma sì bene un fiume, preferì la prima versione alla seconda.

Fò un’ultima domanda: – E perché non si sentì soddisfatto dalla sua interpetrazione?

Perché la era sbagliata, né rispondea alla natura del luogo.

Ora su questo fatto avvenuto 533 anni indietro è ben meraviglioso come nessuno degli Archeologi abbia menomamente riflettuto, e pensato a cavarne un nuovo metodo per governare le archeologiche ricerche, ed illustrare di grande e subita luce il passato. Esso prova più cose ad una volta: prova che nel XIII secolo la coltura nelle nostre provincie era maggiore che altri non crede, se un Duca, se i Sindaci, che ne seguirono l’esempio, non erano nuovi alle lingue orientali; prova che allora si tenea da tutti che semitici fossero i nomi dei nostri paesi, e semitica l’origine loro; prova che quei nomi si tradussero, creandosi così il grandissimo imbarazzo in che han finora versato gli Archeologi, i quali vanno in cerca di paesi, che con nome mutato stanno loro innanzi agli occhi, e non ne sono riconosciuti; e prova finalmente che in più d’un caso quelle traduzioni furono sbagliate. Bragalla in fatti non era la contrazione di Bere Ka-Hal (lo stagno alto), ma sì bene di BaraK-Hal (cui benedixit Altissimus); significava la Benedetta da Dio e avea nome ebreo al pari degli altri paesi di Brezia”.

Va detto, se ce ne fosse bisogno, che Padula faceva derivare tutto dall’ebraico, dimenticando che sulla Calabria si erano succedute molte altre civiltà.

Giuseppe Abbruzzo


[1] V. Marra, Storia delle famiglie nobili, p. 357

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