Un curioso caso di “body shaming”

Aeroporto di Lamezia in un uggioso pomeriggio autunnale. Seduti a un tavolo di un bar, sorseggiavamo un campari spritz, vagheggiando su pensieri vari e per lo più noiosi: scadenze, oneri, commissioni varie, cambio gomme auto, etc. Di fronte a noi un signore sulla cinquantina, in evidente sovrappeso, stava gustandosi un cannolo siciliano, di quelli “extra large”, con passione e gusto. Si intuiva dalla gioia con cui mordeva quel prodotto che provava un piacere infinito, difficile da descrivere.

Non si curava di chi aveva attorno né del fatto che si era in parte imbrattato con lo zucchero a velo e i frammenti di ricotta che gli  cadevano su camicia e cravatta. Anche i ripetuti squilli del cellulare non apparivano scomporlo più di tanto. Il resto  del mondo poteva attendere: ci sono delle priorità nella vita che vanno rispettate. Mentre ci gustavamo questa scena, al tavolo a fianco al nostro sedeva una giovane madre con il figlio che avrà avuto sui 5 o 6 anni, paffuto e, da quanto emergeva, decisamente un buongustaio.

La madre aveva comprato un cono gelato e al figlio un panino. Il bambino scalpitava e, divorato il panino, pretendeva le patatine e, dopo, il gelato. La madre non recedeva e si mostrava incorruttibile, mentre il bambino proseguiva con le richieste e i lamenti.

A un certo punto, la madre passò a un inusuale esempio pratico per tentare di far desistere il figlio dal proseguire con le sue “insane” richieste. “Devi smetterla di mangiare schifezze e dolci – disse rivolta al figlio – altrimenti diventerai come il signore. Ti piacerebbe essere così?”. Il tutto proferito ad alta voce, senza nessuna inibizione. Il signore, che nel frattempo aveva finito di mangiare e osservava lo smartphone, interruppe la lettura e, sollevato lo sguardo oltre gli occhiali da vicino, appoggiati sul naso, rivolto al bimbo così si espresse laconico: “Continua a mangiare bimbo, fregatene, fanculo le regole e fanculo anche chi ti dice a chi devi o non devi assomigliare. Sei bello, ti assicuro, anche paffuto, l’importante è che tu piaccia, in primis, a te stesso e che sia soddisfatto della tua vita”.

La scena si svolse sotto gli occhi sbigottiti dei vari annoiati viaggiatori, mentre la madre, forse, provò un temporaneo senso di pudore, durato pochi secondi, dopo di che si alzò per andare a sedersi vicino al gate. La scena è emblematica di varie cose, a cominciare dallo scarso rispetto per gli altri. La leggerezza con cui si usa l’altrui aspetto fisico come materiale pseudo pedagogico, ossia come esempio negativo, è veramente incredibile. D’altro canto, la posizione della madre nel far capire al figlio che gli eccessi si pagano è comprensibile nelle intenzioni ma totalmente sbagliata nel metodo. La signora, in maniera scandalosa, non si è preoccupata di offendere chi aveva davanti, tentando di minarne l’autostima, al solo scopo di fornire al figlio un esempio a suo dire negativo.

C’erano tanti altri modi alternativi e tempi diversi di intervento sul figlio. Modi e tempi usati dalla signora denotano l’assenza di qualsivoglia rispetto per gli altri e la loro eventuale diversità fisica. La reazione del signore, pienamente giustificata verso l’atteggiamento della madre, ha finito per essere una rivalsa e distruggere quanto la madre, in maniera pedestre e cafona, aveva cercato di impartire al figlio. “Grasso è bello!”  E’ sembrato dire il signore. Fatto salvo il rispetto per la persona, ci permettiamo, però, per lo meno sul piano prettamente sanitario, di dissentire. Rispetto per gli altri, educazione e stile di vita vanno di pari passo.

Massimo Conocchia

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