L’opposizione alla ricerca di una via comune per ritornare protagonista

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Nel settembre 2002 eravamo a Roma per una manifestazione unitaria indetta dall’allora opposizione, Ds in testa, contro il governo Berlusconi. A un certo punto, sul palco, dove erano già allocati Massimo D’Alema, Piero Fassino e Francesco Rutelli, salì Nanni Moretti e, rivolto ai tre dirigenti che lo avevano invitato a salire, disse, senza tentennamenti, “con questi dirigenti non vinceremo mai” e, sostanzialmente, fu facile profeta.

Se si eccettua la mezza vittoria del 2006, tanto risicata quanto incerta col II governo Prodi costretto a capitolare dopo due anni, la Sinistra è arrivata al potere nel ventennio successivo mai per chiara legittimazione elettorale.

Fu al governo con Monti in un esecutivo tecnico, poi con Letta e Renzi,
grazie al contributo di un frammento di Destra che si era staccata e con il Conte 2 con i 5s, poi con Draghi, nuovamente in un esecutivo tecnico. Tutto questo preambolo era necessario per cercare di analizzare uno stato di sofferenza cronica della Sinistra, che sta pagando, per tempo, un progressivo scostamento dalla base e dalle
esigenze dei ceti più deboli.

Con Renzi, poi, il PD è diventato altro e questo ha contribuito non poco a un ulteriore allontanamento da parte di una base sempre più disillusa. L’antagonista di Renzi, Enrico Letta, è stato poi l’archetipo di un leader moderato che ha finito per identificare gli interessi del PD con la cosiddetta “agenda Draghi”.

Con Schlein alla segreteria era sembrata aprirsi una fase nuova, più
rispondente a tematiche care al vecchio elettorato e a quella che una volta si definiva la base. Il limite dell’attuale dirigenza è insito, però, nella infinità di anime che albergano nel PD e nel centro-sinistra in generale, che assai spesso sono portatori di
interessi frazionali che impediscono una linea comune.

Se la Destra ha come collante l’unità determinata dal potere e dalla volontà di
preservarlo, la Sinistra ha sempre fatto prevalere gli elementi divisivi su quelli aggreganti. Nell’attuale compagine di governo coesistono forze tra di loro antitetiche: ci sono filoputiniani, sostenitori di Orban, antieuropeisti, accanto a forze europeiste
convinte che si riconoscono nel PPE. Eppure queste profonde contraddizioni non impediscono di stare insieme e proseguire a governare. Le contraddizioni e i distinguo sono quotidiani ma alla fine serrano le fila.

A Sinistra questa filosofia non è mai prevalsa, anzi, gli elementi divisivi hanno finito per rendere sterile l’azione di governo. A questo atteggiamento autolesionistico si aggiunga il progressivo allontanarsi da tematiche storiche, a cominciare dalla
pace. L’atteggiamento ambiguo sui due conflitti in corso ne è una dimostrazione: da una parte la mancanza di una posizione chiara sul continuo invio di armi all’Ucraina, dall’altra la paura di denunciare la distruzione di un popolo, quello palestinese, per non rischiare di irritare Israele, sono due facce di una stessa medaglia e concorrono a
restituirci il quadro desolante di una forza che non è in grado di prendere posizione netta.

Eppure, tematiche comuni ad un fronte che si opponga a questa Destra, che ha fatto della lotta al welfare e ai diritti un vessillo che agita con orgoglio, ce ne sarebbero ed è su quelli che si dovrebbe costruire un’alleanza: difesa della Sanità
pubblica, della scuola, sostegno economico alla fasce più deboli, comunque lo si voglia chiamare, immigrazione, giustizia, fisco, posizione sulle guerre in corso. Tante tematiche inclusive su cui sostanzialmente buona parte delle forze di opposizione si dovrebbero riconoscere. E poi, non solo bisogni ma anche un’idea di futuro, per
ridare speranza a chi è costretto ad abbandonare questo Paese. Su questi temi e sull’idea di futuro si giocherà la credibilità di un’alternativa alla Destra, tanto più credibile, quanto capace di aggregarsi.

In sintesi, per ricostruire un universo di sinistra in grado di insidiare questa destra c’è bisogno anzitutto di riunirsi con la volontà di aggregarsi su temi comuni. Questo non vuol dire tutti dentro a tutti i costi. Matteo Renzi si trova oggi in una posizione
delicata e riteniamo che un suo passo indietro possa contribuire a spianare la strada a un nuovo schieramento. L’ex presidente del Consiglio, infatti, da ex segretario del PD, colui, tra l’altro che ha fatto le unioni civili, non potrebbe, per coerenza e tant’altro stare a destra, a sinistra non è giustamente gradito per la memoria dura a
morire della storia degli ultimi anni. Un suo passo indietro faciliterebbe e di molto e metterebbe tutti nelle condizioni di operare scelte meno traumatiche e divisive. Da ultimo, riteniamo che una buona base di partenza per ricreare un’alleanza omogenea a
sinistra sia una rilettura attenta dell’articolo 3, secondo comma, della nostra Costituzione, che afferma che “Tutti i cittadini hanno pari opportunità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”1.

Si tratta di un principio cosiddetto di uguaglianza sostanziale, che mira ad eliminare ogni forma di discriminazione. Da questo principio si potrebbe partire per un’alleanza che non sia fatta solo di bisogni primari ma che contenga anche un’idea di futuro diverso e possibile.

Massimo Conocchia

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