A margine d’una imprecazione
Ti vuonu passàri ppe’ ‘nu cùosc-cu! – È un’espressione, che si recitava, a volte, sorridendo e in forma faceta, indirizzata a giovane brillante, scherzoso ecc., da parte di ragazze e anziane.
Quanti fra le nuove generazioni sapranno “smagare” il detto?
Si potrebbe rispondere: – Nessuno, a meno che, cosa improbabile non abbiano letto la pubblicazione, che ho scritto insieme a Massimo Conocchia, sulla medicina popolare in Calabria -.
Ecco cosa si nasconde nell’imprecazione: soprariportata, i ragazzi affetti da ernia si facevano passare, con la parte interessata, su un tronco di quercia giovane spaccato opportunamente, nella credenza che tanto valesse a farlo guarire.
Interessato come sono, in materia di cultura popolare, ho cercato di sapere se quella pratica si fosse messa in atto in altre realtà.
Ho trovato, che il dott. Aroldo Norlenghi, a fine ‘800, riporta qualcosa di similare alla pratica acritana, che si metteva in atto nella notte della festa di S. Giovanni (24 giugno) a Coltignaga Novarese. Estrapolo dalla pubblicazione e riporto pedissequamente:
“Tutti gli anni in Coltignaga Novarese (Piemonte) nella notte di S. Giovanni, dopo la mezza notte, un vecchio si reca in un remoto bosco ed ivi accorrono bambini accompagnati dai loro genitori per essere guariti dalle ernie; e accorrono dal contado non solo, ma anche dalla città di Novara.
Ecco quello che mi venne osservato una notte di S. Giovanni trovandomi colà.
Dopo essersi fatto il segno della croce ed avere fatta una invocazione religiosa, un uomo cominciò a fendere longitudinalmente un albero, indi v’introdusse un asse, che poi con una forte pressione distese orizzontalmente ottenendo così una discreta apertura limitata dalle due metà dell’arboscello; fatto spogliare il bambino, salvo la camicia, lo distendeva sull’asse orizzontale, e lo faceva sortire dalla parte opposta a quella per cui lo introduceva; e così per tre volte consecutive: nella prima estraeva un braccio dalla camicia, nella seconda l’altra, nella terza la toglieva del tutto per lasciarla in mezzo all’albero che, tolta l’asse la serrava strettamente. – Se l’arboscello muore, il bambino guarisce, altrimenti l’opposto succede. – Qual’è la ragione intima di questa superstizione che sembra una fantastica storiella medioevale? Forse qualche operatore remoto operava così nascostamente la taxis (riduzione) perché nessuno gli portasse via il secreto? Non sarebbe dunque rimasta che la parte accessoria di un’operazione scientifica?”.
Questo è tutto. A questo punto: se il dott Norlenghi, lui uomo di scienza non riesce a dare una spiegazione scientifica e logica del perché si mettesse in atto la pratica e, soprattutto non ricercasse se tanto avesse esito positivo o meno, volete che possa avere io la velleità di azzardare una qualsiasi ipotesi?
Chi può dica la sua, indicando se nella pratica vi è qualcosa di scientifico.
Giuseppe Abbruzzo