Il fascino un po’ perverso della maldicenza e del pettegolezzo
E’ un’abitudine innata in alcuni di noi e alla cui base possono sussistere molteplici fattori. In primis il bisogno di mettersi al centro della scena, attirare l’attenzione, specie da parte di chi non ha altre possibilità di farsi notare. Questo primo aspetto è alla base della forma più mite e benevola pettegolezzo, quella che definiremmo bonaria. Il più delle volte il contenuto è frivolo, qualche volta “piccante”, come particolari della vita intima o privata della vittima, in altri casi la smania di soddisfare il gusto malato dei più, ossia quello di potere spiare nella vita degli altri. Questa forma benevola è, fortunatamente, la più comune ed il più delle volte fine a se stessa. Non mira a distruggere l’oggetto del pettegolezzo, gli basta solo godere per conoscere aspetti della vita degli altri quanto più intimi e scabrosi. C’è, poi, una forma intermedia di pettegolezzo, che mira a irridere la vittima, generalmente per presunti difetti fisici, mentali o caratteriali, sfociando spesso in imitazioni caricaturali, tese non solo ad attirare l’attenzione dell’uditorio ma anche a ingraziarsela tramite la messa in scena di una vera e propria commedia. Ricordiamo un signore balbuziente oggetto di scherno quotidiano da parte di quelle stesse persone che apertamente si mostravano benevole e accondiscendenti.
Arriviamo ora alla forma peggiore e più pericolosa di pettegolezzo, che è la maldicenza, ossia il tentativo di diffamare e infangare la vittima, verso la quale si prova, evidentemente, una malcelata forma di invidia. La maldicenza può interessare vari aspetti della vita della persona presa di mira, a cominciare da quella privata: è il caso di gente ricca o facoltosa, verso la quale l’invidia nasce soprattutto da chi nella vita ha avuto meno. Ecco, quindi, che scatta la diceria sulle modalità con cui si è fatta fortuna, etc. Assai più spesso si tratta di maldicenze che investono la vita pubblica della vittima. Qui il discorso si fa più complesso e, soprattutto, non ci sono regole da parte dei promotori della maldicenza. Tutto è concesso.
Quando, per ovvie ragioni, non è possibile distruggere la reputazione, si mira ad altri aspetti, tra cui la salute. Si cominciano a diffondere dicerie su uno stato precario di salute, allo scopo di diffondere la sensazione che la persona offesa non sarà più nelle condizioni di garantire lo stesso standard. Qui siamo di fronte ad aspetti che interessano, evidentemente, la psicopatologia e sarebbe interessante studiarli ma la cosa esula notevolmente dalle nostre competenze. Siamo, però, nelle condizioni di proporre dei modi per contrastarla. Il primo è sicuramente lasciare correre, non alimentare, riproponendole, le maldicenze ma ignorarle. E’ questo un modo che spesso mette in crisi chi ha diffuso la diceria, rendendo di fatto sterile l’azione tesa alla distruzione dell’altro.
Qualche anno fa a un nostro amico, molto stimato e benvoluto, capitò una disavventura del genere: non potendolo attaccare sul piano della sua attività, qualcuno mise in giro delle maldicenze totalmente infondate sul suo stato di salute. Cominciarono a piovergli addosso una serie infinità di telefonate di gente che, in vari modi, cercava di accertarsi del sue condizioni. Fu costretto a mettere in rete e diffondere dati sensibili che lo riguardavano, corredate da documenti ma non servì a molto, in quanto la maldicenza continuava.
Decise, a quel punto, di fregarsene, abbozzando un sorriso tutte le volte che gli veniva chiesto come stesse. Trascorso più di un anno la maldicenza cominciò a sgonfiarsi di fronte all’evidenza dell’ottimo stato di salute del soggetto. Si passò, pertanto, alla fase 2, si diffusero voci su misteriosi interventi e, quando anche queste persero energia, si passò al miracolo, che aveva “salvato” la vita del nostro amico. E lui? Quando gli veniva chiesto come stesse si limitava a dire che siamo tutti nelle mani di Dio e che nessuno era in grado di prevedere la propria fine.
La cosa andò avanti per un po’ fino a spegnersi da sola come era nata, mentre il nostro amico continua a godere di buona salute. Auguriamo lunga vita a lui e a coloro che si sono presi il disturbo di preoccuparsi del suo stato: la sensazione che abbiamo, però, è che la qualità di vita del primo è stata e sarà nettamente migliore e più gratificante dei secondi.
Massimo Conocchia