1848 – La costituzione
Ferdinando I di Borbone, rientrato a Napoli, dopo l’occupazione francese del regno, per ringraziare S. Francesco di Paola, del quale era devoto, fece costruire la chiesa, che dedicò al Santo calabrese.
Quale poteva essere il punto migliore, per innalzare il tempio? Farlo sorgere proprio di fronte al Palazzo reale.
Quell’ampio spazi che li divide oggi è denominato Piazza Plebiscito.
Nella detta chiesa, il re Ferdinando II giurò sullo statuto costituzionale, per il quale si era tanto lottato e che il popolo, per esso, sperava di avere grandi vantaggi, come era stato ventilato.
Il giuramento, da parte del re, si fece il 24 febbraio 1848.
Liberali e popolo speravano, inoltre, che, dopo quella firma, fra l’altro, si fossero potuti sbarazzare del tanto odiato ministro di Polizia Del Carretto.
Si ricorda, ancora una volta, che quel ministro, tanto odiato, fu condannato all’esilio e Vincenzo Padula compose, per l’occasione i versi “Al Nettuno”, che tanto hanno fatto discutere in giorni a noi vicini.
Si ribadisce, ancora, che Nettuno era il nome della nave, che trasportava in esilio, a Marsiglia, l’odiato ministro.
Il popolo che, in gran parte, non sapendo leggere e scrivere si affidava alla memoria, per tramandare fatti e avvenimenti. Si riteneva che il modo migliore era quello di mettere in versi quanto si voleva che conoscessero, anche le generazioni future.
I napoletani, così, cantarono, per festeggiare e tramandare quell’avvenimento, che aveva importanza storica rilevante:
A San Francisco ‘e Paula vuogliu jire,
‘a custeruzione vuogl’iu firmare,
sempe dicenno: – San Franciscu mio,
‘a custeruzione quann’o ‘a vuo’ firmare?
Del Carretto, Del Carretto è mariuolo.
I versi condensano quanto più su è stato detto.
Ne abbiamo scritto, perché se ne ricordino quanti hanno voglia di studiare i versi del Padula e quanti vorranno studiare la rivoluzione calabrese del 1848, che la storiella del Risorgimento italiano ignora o quasi.
Va detto che quella rivoluzione interessò non poco Acri, ma anche questo si ignora, perfino da chi si ritiene detentore di quanto avvenne in quel periodo.
Si ricorda, ancora, che sempre Padula, dopo la disfatta dei calabresi a Campo Tenese scrisse i celebri versi: Non mi chiamate più calabrese, che, successivamente precisò che erano stati scritti in un impeto d’ira e, perciò, ingiusti.
Giuseppe Abbruzzo