La stanza senza colore
La chiamano “la stanza rosa” ma io non ne ho mai visto il colore sulle pareti, mai.
Lei ha una ferita sul volto, io la devo solo cucire e, poi, ho finito il mio impegno perché il suo problema è un altro e non ha bisogno del mio ago e del mio filo, anzi, lei ha l’anima incastrata, ingarbugliata, intrecciata, qualcuno la deve, prima, scucire e ridarle, poi, il verso giusto.
“Com’è successo?”
Una domanda, è una sola e gliela devo fare, ma siamo nella stanza rosa, la risposta, all’inizio, è sempre la stessa, la conosco, è il silenzio.
È giovane, ha i capelli lunghi ma non li ha pettinati e non è colpa del vento, il rimmel è colato su un viso bianchissimo e non è colpa del sole, ha le unghie lunghe e smaltate, c’è un colore diverso per ognuna, che a me già anche tutte di un colore non mi sono mai piaciute, ma mi piace di meno vederle tremare e non devono essere solo loro a tremare e lei, di tutto, non ne ha colpe.
Mi guarda, abbassa gli occhi, è in imbarazzo, anche la scena è sempre la stessa ma non è mai la stessa recita “mi ha picchiata ma…” fa una pausa, sussurra, quasi, a mettere in ordine i pensieri o, forse, a farsi sentire solo da se stessa, perché solo lei può capire e perdonare ”…lui mi vuole bene, forse ho sbagliato a io a rispondergli, lui non voleva farmi male”.
Questa preghiera l’ho sentita più di una volta, anche l’altra volta, un’altra di troppe volte ancora ma è sempre come se fosse la mia prima volta.
Ha l’accento milanese, i jeans, le sneaker di marca, niente trucco, le unghie non sono colorate, piange e singhiozza, respira veloce, siede sul lettino, a lei tremano le gambe, non stanno mai ferme, dondolano ma niente la calma, ha una crisi isterica.
È un pronto soccorso piccolo, c’è una stanza sola e vale per tutti, non c’è un colore e lei ha voglia di parlare, ha una gran voglia di parlare.
“La colpa è mia che non riesco a lasciarlo e lui se ne approfitta e mi tratta male, è geloso, oggi non voleva che andassi a lavorare, mi ha offesa, mi ha dato della troia e dire che io mi sono trasferita da Milano per lui, l’ho conosciuto in vacanza, era così gentile, mi sono innamorata subito.”
È un fiume in piena, io devo solo controllare che gli argini tengano “non è sempre così, poi gli passa, mi prende le mani, mi dice che se lo lascio si ammazza, che mi ama, e io gli credo, fino alla prossima volta, sono spaventata, non so più cosa fare”.
L’amore può essere tossico, può incatenare la ragione, sfamarti di briciole e farti sentire anche oggi sazia, può esasperare l’illusione, la speranza, la pazienza fino a ritrovarti su un lettino, sola, disperata, in una stanza senza pareti colorate, senza più una risposta a quelle che è una domanda che ti tormenta dalla prima volta: perché?
Io sono il papà di tre bambine e ne cresco la vita filtrando ogni respiro perché voglio che ogni movimento d’aria sia per loro fresco di simpatia, di educazione, di intelligenza, di rispetto, di tolleranza, di ottimismo, di benessere.
Semmai, un giorno di un tempo che non dovrebbe mai avere tempo, dovessi sapere che un uomo o una donna o chiunque avesse alzato anche solo un fiore contro di loro, penso sempre che sarei capace di recidere la vita che impugnava quel gambo, senza nessuna pietà perché di quanto è un gesto di una vita di un uomo, di una donna, di chiunque che non ha nulla di umano e che non ha perdono, io non ho nessuna umana pietà e non ho nessun perdono ma è solo un pensiero e prego Dio di non averne mai il tempo.
Non usate nessun colore solo per dire che in quella stanza c’è una donna, perché il sangue è rosso, perché la violenza può essere di altri mille colori, perché farà della tua vita una ferita che non si rimarginerà mai perché l’anima non si cuce, perché l’anima della donna uccisa, picchiata, urlata, costretta, violentata è incolore, l’anima è senza pareti, perché di rosa rimarrà solo il ricordo di un fiocco che, ieri, oltre la porta di casa, in tutte le stanze, significava solo amore e, oggi, sola, in quella stanza significa solo dolore ma tu, adesso, ti prego, non chiederti più, perché!
Angelo Bianco