Cantannu Cuntu, quando la musica diventa orgoglio, riscatto e poesia

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E’ come il tam tam di richiamo della foresta, un ritmo intenso, profondo, ancestrale, un suono delle origini che fa accorrere da un’epoca, quella attuale, altrimenti sommersa da immondizie musicali.

Quando la tammorra inizia a battere l’antico invito alla taranta non si resiste. E da piazza Annunziata fino alle strette vie del centro, da Padia o dalle palazzine dei quartieri più nuovi si viene calamitati lì, sotto al palco, in mezzo al verde della villetta, in una sera di agosto.

L’appuntamento con i Cantannu Cuntu è un must fisso dell’estate acrese. Eppure dalle prime note è come se il concerto fosse sempre nuovo. Non è solo la musica, è un comune sentire, è un riscoprire le proprie radici, è un rialzare la testa. Quando non ci si vergogna del ritorno alle origini, quando parlare e cantare in calabrese non è ridicolizzato come di abitudine sulle tv e radio italiane, quando usare l’acrese non è sinonimo di arretratezza.

Allora accordi il ritmo del cuore sulle percussioni di Carlo Alberto Malito, lasci fluire il sangue secondo il basso di Ettore Malizia, aspetti la tammorra di Mauro Ritacco, e la testa si disperde sui virtuosismi di Elio Curto alla chitarra, Pasqualino Mitidieri alla

fisarmonica, Angelo Gaccione al mandolino.

Il resto è ballo, trascinante, perché nel ritmo della taranta si butta fuori il veleno, il dolore, le umiliazioni, la rabbia di un intero anno. Da Canzuna ammaruggeata a U curtellaru, da Annare’ a Cazzi e cazzilli fino ai cori di A Vecchiarella il tempo normale resta sospeso e si finisce incantati in un altro mondo.

Incomprensibili gli “Aloha” da Ruggito del coniglio richiesti dal palco, unica nota di tristezza la mancanza di ragazzi nella band. Tuttavia è solo l’ultimo sberleffo di un’Italia che dopo aver preso tutto da questa terra, si ruba anche i più giovani, rendendo sempre più difficile perfino tornare a casa nel cuore dell’estate con collegamenti impossibili.

Meglio, allora, non cedere alla malinconia e gettarsi a capofitto nella musica dei Cantannu Cuntu, con i tanti che accompagnano Malito & co cantando a squarciagola in una lingua incomprensibile per chi non è del posto, mentre, trascinati dall’euforia, anche i più in avanti con l’età accennano a passi di danza, e indietro, lontano dagli occhi dei più, adolescenti ballano al ritmo della taranta.

Fulvio Scarlata

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