Sull’iscrizione d’una Croce di Morano

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Conosciamo poco o nulla della nostra Regione se non degli stessi paesi che abitiamo.

Di tanti si hanno notizie vaghe e imprecise, perché ci si ferma alle poche date da autori, senza ricercare e fornire in appoggio documenti originali. Questi ripetono stancamente quanto riportato da altri, errori compresi, facendo quello che ai giorni nostri si dice: copia incolla.

A proposito d’una croce si dice che questa, processionale in argento, sia stata acquistata dal sacerdote Antonello De Sassone e donata alla chiesa di S. Pietro in Morano. Null’altro. Altre due più piccole si trovano ad Amendolara e Nocara.

Carlo Maria L’Occaso, autore di una “Storia di Castrovillari” si occupò della cosa e, a proposito di quanto accennato in apertura, scrive: ”Non v’è chi non sappia quante favole siansi spacciate in epoche non molto lontane da coloro, che intenti alla illustrazione di cose patrie, senza buona critica procedettero nell’arduo cammino; dappoiché furonvi certi tempi beati, in cui tutto si credea senza esame, e tutto era facile e piano per alcuni scrittori, i quali con sentenze arbitrarie assegnavano i riti alle antiche Città, e discorrevan di leggi, di costumi, e di ogni altra cosa qualunque”.

L’incipit fa presagire attacchi che, per altro, si riferiscono ad autori vari e in questo caso a uno in particolare. L’Occaso conclude, affermando che “con investigazioni profonde, e con sicuri documenti” si possa sconfessare gli errori. Tutto ritiene debba essere provato; e scrive: “In prova di che togliamo ad esempio una iscrizione di Calabria, la quale malamente interpretrata, diede luogo a molti errori, ed accreditò una falsa tradizione che si conserva tuttavia”.

L’iscrizione sulla detta Croce è su “una croce di lamine di argento indorato, di particolare struttura”. L’Occaso così ne scrive: “Nell’un de’ canti vedesi scolpita l’effigie di Gesù crocifisso, in sul cui capo discende un’angelo (sic) con le mani distese all’in giù: e sotto i piedi del Cristo, e negli altri due lati miransi tre Marie a mezzo busto coi capelli scarmigliati. Nell’altro canto vedesi S. Pietro in atto di benedire, tenendo nella sinistra le chiavi: al di sopra un’aquila volante: a destra un leone sdraiato con ali: a sinistra un toro alato: al di sotto una iscrizione, e poi una donna alata, a mezzo busto, coi capelli pendenti sugli omeri e sul petto”.

Descrizione minuta a cui segue il giudizio: “Il lavoro è rozzo, ma pieno di verità ed espressione”.

Tutto questo introduce all’interpretazione della iscrizione, così rileva dal citato autore: “A.  D.  MCCCCXXXXV. A. TONELLUS DE SAXONI. A DO. S. P.”. Per la quale precisa: “cioè Anno Domini MCCCCXXXV hoc opus fecit domnus, o dominus, Antonellus de Saxini, atque donavit Sancto Petro”.

Antonello de Saxoni, perciò, non è l’acquirente dell’opera, come qualcuno riporta, ma è l’autore, che ne fece donazione alla suddetta chiesa parrocchiale.

Sentiamo la precisazione, a riguardo, di L’Occaso: “L’Antonello di questa iscrizione è l’artefice della croce, e quel Saxone, o Sassone, è il suo cognome. Ciò è chiaro per sé, e si sa che nel secolo XV l’uso de’ cognomi era comune quanto ne’ nostri tempi”.

Va precisato che il nostro autore scrive nel 1839.

Si chiama in causa il medico moranese Giovan [Leonardo e non] Monardo Tufarelli, che pubblicò uno scritto su Morano, nel 1599, in Cosenza, [presso Luigi Castellano] che, a parere di L’Occaso “diede una curiosa interpretazione a questo monumento”, precisamente: “credendo Sassone fosse la patria di Antonello, e ricordandosi che un luogo poco distante da Morano (ove tuttavia si osservano le rovine di un’antica Città) conservava la medesima nomenclatura, non esitò punto in dire, che quell’Antonello della iscrizione fu cittadino di Sassone presso Morano, città distrutta verso la fine del secolo XV”. E giù di seguito col riportare le fantasie di quell’autore.

Sconfessa e dimostra L’Occaso come Sassone, città distrutta da lungo tempo, non potesse essere patria di Antonello. Così confuta l’affermazione del Tufarelli su un presunto vescovado di Sassone. Tutto è documentato, per ristabilire la verità storica, per concludere che, perciò: “non bisogna molto fidare nei nostri storici, e nelle popolari tradizioni; perché le cose più semplici sovente offrirono ad alcuni scrittori materia onde fabbricar mille chimere, e le tradizioni spesso nacquero dagli errori storici”.

Speriamo di aver dato notizie interessanti su qualcosa che, nel passato, ha fatto discutere.

Giuseppe Abbruzzo

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