Così si educava nell’800
Cari lettori, vi sembrerà incredibile quanto riporterò, ma, purtroppo, accadeva in alcuni seminari.
I metodi più in uso, impiegati contro i cosiddetti “discoli”, erano due. Si riporteranno di seguito. Va detto che il primo era il più usuale, il secondo ci suona, alquanto, nuovo.
L’anonimo che ne scrive era stato rinchiuso in seminario all’età di 8 anni. Il nostro Vincenzo Padula ci informa che vi era stato rinchiuso a 10. Entrambi fanno la stessa considerazione sull’essere strappati all’affetto dei propri cari a quell’età.
Era una barbarie, ma non lo erano da meno le citate punizioni.
Cediamo all’anonimo, che ne scrive in età adulta, dopo essere divenuto prete.
“Due erano le penitenze più famose e più comuni nel seminario, l’andar a cavallo ed il mangiar colle gatte. Conviene descriverle minutamente (…)
La penitenza del cavallo era la più dolorosa. Allorché un fanciullo era condannato a questa specie di frusta, s’impiegavano per l’esecuzione due servidori uno de’ quali facea da tira piedi, e l’altro da boia. Il primo prendeva il condannato dalle mani e se lo caricava, come un involto dietro alle spalle col deretano in prospettiva, ma in modo che i piedi del paziente non toccassero il pavimento. Il secondo munito d’un certo leggiero legno, chiamato ferla, batteva allora il tergo del fanciullo coll’istrumento di cui era armato, dandogli tanti colpi quanti ne erano stati fissati dal rettore, o dal maestro. Il numero ordinario era di 25 legnate, l’estraordinario di 50 e lo straordinarissimo, di 100.
Io ebbi sovvente l’onore dello straordinarissimo, come se fossi stato un negro, un soldato russo o un lazzaro napolitano. Che vergognosa crudeltà!”.
Cosa diranno le persone di buon senso e i genitori moderni per tutto questo?
Vediamo la seconda punizione: “La penitenza di mangiar colle gatte men era tanto barbara, ma era forse più penosa per fanciulli di tenera età. Esistea nel refettorio un luogo centrale, ove colui che era condannato a mangiar con queste bestie doveva inginocchiarsi alla vista di tutto il seminario. Ivi stendendo la sua servietta per terra, attendeva in pace che gli fosse recato il pranzo. Appena un piatto era messo a sua disposizione, una o molte gatte (non mancando mai queste inutili bestie nelle benedette comunità) si accostavano per esserne a parte. Il paziente non avea diritto di scacciarnele, e guai a lui se l’avesse solamente tentato.
Le gatte nel divorare la loro porzione formavano, per naturale gelosia, un armonioso miagolamento di gniao, gniaoo. Al dolce suono di tal musica bestiale il condannato era costretto, se non volea morir d’inedia, mangiar unitamente con esse la sua parte. Siccome però le gatte delle comunità sono più divoratrici degli uomini (almeno quelle del seminario erano tali), così di tutto il pranzo non toccava al paziente fanciullo che uno o due bocconi conditi sempre della puzzolente bava gattesca.
A dire il vero io non so se possa, per fanciulli, immaginarsi un tormento più crudo e più penoso. Trovarvi ginocchioni, alla vista di molti coetanei compagni, che si burlano di voi; sentirsi solleticato nelle viscere da un acido divoratore prodotto dall’abbondanza de’ succhi gastrici; vedere delle gatte che mangian porzione del vostro cibo non poterle scacciare, o esser costretto dalla fame ad inghiottire ciocché le gatte hanno già condito colla loro bava, sono queste atroci pene che i Falaridi, ed i Dionigi non avrebbero potuto inventare.
Tali erano intanto le penitenze ordinarie di un luogo ove ho passato la prima mia fanciullezza”.
Quanti ragazzi, nell’800 e, forse, dopo hanno dovuto subire queste punizioni inumane? S’è voluto riportare tutto questo, perché ognuno sappia quanto accadeva in certi Seminari e assimilati.
Un interrogativo è d’obbligo: – Dove si davano quelle punizioni erano luoghi destinati all’educazione? Erano necessari quei metodi? Era umano praticarli?-.
Ognuno faccia le sue deduzioni.
Giuseppe Abbruzzo