Ad Acri c’è bisogno di rottamazione e sviluppo

Nei giorni scorsi,il sindaco Capalbo, attraverso il suo profilo Facebook, ha pubblicato delle foto che ritraevano il corso principale della città, esaltando euforicamente il nulla, con conseguente reazione negativa dei cittadini sotto il post.

Ormai sono convinto che in Italia i paesi esistono come luogo della sciagura, il paese è semplicemente lo sfondo di una realtà triste. La loro vita quotidiana non interessa a nessuno, a cominciare da chi li abita.

Ad Acri non abbiamo più i servizi primari, non abbiamo neanche un ospedale pienamente funzionante, ma la cruda realtà è che se ne sono andati tutti, specialmente chi è rimasto. Alcune difficoltà sono endemiche in tutta Italia: molto diffuse, profondamente radicate, ormai croniche.

I progressi, invece, continuano a essere troppo lenti e marginali. Le delusioni sempre incombenti e all’apparenza insanabili. I problemi sono diventati cronici perché hanno radici profonde nella formazione del nostro paese e della sua società civile.

Qualunque ripresa o speranza non può che dipendere da condizioni e possibilità di un rinnovamento sostanziale della società stessa. Se la politica deve rappresentare le persone e i loro problemi, perché nessuno rappresenta le persone e  i problemi del paese? Essere consiglieri comunali oggi, significa occultare la propria paesanità?

Se è così è un comportamento di persone che non hanno il coraggio di assumersi le proprie responsabilità. D’altronde, ancora oggi, il popolo va dietro a personaggi che millantano potere di costruire ponti, strade e viadotti, personaggi che fanno politica da dieci anni, gli stessi che fanno finta di schierarsi dalla parte del popolo per i propri interessi personali, mi duole dirlo, ma non abbiamo capito ancora nulla del futuro che ci aspetta. C’è bisogno di dare spazio ai giovani, una vera rottamazione vista l’attuale incapacità, affiancati contemporaneamente da  una guida esperta e competente, per il bene di una comunità che rischia il collasso. A buon intenditore, poche parole. 

Francesco Pellicorio

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