1889 – Tempesta furiosa su Acri. Gravi i danni

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Nel febbraio 1889, per più giorni, caddero piogge torrenziali su Acri, accompagnate da venti furiosi.

“A tanto urto – si legge nella cronaca -, le vecchie case dell’abitato non resistettero, parecchie rimasero gravemente danneggiate facendo temere imminenti catastrofi”.

Il sindaco, il maresciallo dei carabinieri Sebastiano Vassallo, il delegato di pubblica sicurezza perlustrarono il territorio “per dare gli opportuni provvedimenti”.

“Difatti – si precisa nella cronaca – nel pomeriggio del 17 accortisi come la casa di certo Santo Cofone pericolasse, ordinarono l’immediato sgombero di tutti gli abitanti, disposero perché fossero poste in salvo le suppellettili e quindi il sindaco ne prescrisse pel giorno appresso il diroccamento”. Il provvedimento non fu possibile eseguirsi “perocché nella notte la casa rovinò senza che si avessero a deplorare disgrazie, tranne il danno di circa lire 800 a carico del proprietario”.

Se, in questo caso, si ebbero solo danni alle cose, sorte ben diversa accadde “per la casa del nominato Francesco Scaramuzza, la quale quella stessa notte d’improvviso sfasciossi seppellendo sotto le sue macerie gli abitanti immersi nel sonno”.

Va precisato che la maggior parte delle case erano degli sfasciumi e la tempesta, che imperversava da giorni originava quanto suddetto e quanto si dirà.

“All’orribile fracasso dei rottami – prosegue il cronista – i vicini destatisi di soprassalto, accorsero prontamente e si accinsero senza indugio all’opera di salvataggio, mandando nel tempo medesimo avviso al maresciallo, che in un attimo fu sul luogo unitamente ai suoi dipendenti”.

Il maresciallo, contemporaneamente, “spedì un messo al delegato di pubblica sicurezza, che fu pure prontissimo ad arrivare”.

Ed ecco cosa si presentò ai soccorritori: “La scena che offrivasi allo sguardo sarebbe difficile ritrarre con parole: il cumulo delle macerie, i lumi d’ogni specie che le rischiaravano, i gemiti dei sepolti che udivansi di sotto”. L’oscurità e i mezzi per illuminarla, che andavano dai pezzi di legno resinoso, alle lanterne dovevano dare vita a una scena spettrale e tutto non doveva aiutare adeguatamente a rischiarare l’oscurità originata dal cielo minacciante continua tempesta.

Ed ecco quanto si presentava alla vista: “i militari ed i cittadini sparsi su tutti i punti, chi con pale, chi con picconi, chi con i bastoni, chi con le mani, che lavoravano affannosamente per estrarli costituivano uno spettacolo al più alto grado commovente”.

È da immaginare la trepida attesa. La preoccupazione di vedere estrarre dei corpi esanimi!

“Finalmente in mezzo alla gioia universale si riuscì a disseppellire uno dopo l’altro, i quattro infelici ricoperti dalle macerie, tre donne ed un bambino di 18 mesi”.

Il cronista precisa: “E per maggior fortuna i medesimi non avevano riportato che leggere contusioni”.

Abbiamo riportato la vicenda, per evidenziare che l’imperversare di tempeste, dalle nostre parti, non sono solo dei nostri giorni, ma caratterizzarono anche giorni a noi lontano.

Allora, alla furia della natura si univa la misera realtà di costruzioni, che erano incapaci a reggere la furia di eventi terribili, come quello che si arguisce dovette verificarsi in quel lontano febbraio 1889.

Giuseppe Abbruzzo

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