Francesco Curto, “Suoni diversi”

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L’Antologia è ben curata e introdotta da Allegrini e Luigi M. Reale e presenta pure importanti pagine di Annalisa Saccà. L’opera è dedicata al nipote: “a Lorenzo, comunicare con gli Altri è conoscere se stessi”. Attraverso queste poesie Curto ci fa ampiamente conoscere chi è lui, come è vissuto e vive il tempo presente, e, ce lo dice con un dettato poetico che nel corso del tempo si è andato sempre più evolvendo verso forme ed espressioni poetiche meravigliose, e a tal proposito subito faccio seguire le citazioni dei versi seguenti: “C’è di tutto oggi nei supermercati:/ puoi comprare la vita e la morte;/ quando esci ti porti via il mondo./ Quello che non ti serve è l’abbondanza/ tra tutto è la felicità che manca” (P.34);”Vorrei una volta morto/ dentro un bel fuoco esser bruciato/ nascosto al vento di Mucone/ in un buco della Torre antica”; e quel vento natio eccolo ancora che riappare in questi altri versi composti in mirabile dialetto acrese : ”Na fressura e pateati fritti a sira prima e ti curcheari/ pe t’arriggeteari u stomacu e pe ti riposeari d’ossa,/ Muzzica lu vienti e Muccunu cumu nu cheanu arraggieatu/ E pe un mi feari arrobbeari u suonnu mi stringiu allu cuscinu“ “Una padella di patate, fritte dalla sera prima di andare a letto,/ per calmare lo stomaco e per riposare le ossa,/ Morde il vento del Mucone come un cane idrofobo/ E, per non farmi rubare il sonno, mi stringo al cuscino”(p.182).

Curto costruisce sapientemente i suoi versi e vi sa depositare, ricorrendo a vari ritmi,metri, atmosfere ,immagini,paragoni,similitudini,le sue emozioni,le sue idee,il suo vivere giorno per giorno e lo fa con la massima naturalezza. Perciò la sua poesia si impone sulle altre che gremiscono il nostro parnaso contemporaneo.

Curto affida ai suoi ben incisi e creativi versi i suoi sentimenti, i suoi sdegni, le sue radici, origini e perciò è presente anche il suo caro ed espressivo dialetto di cui, per esempio,si serve per esprimere la passione ardente e infuocata dell’amore: “U fierru va vattutu quannu è cavudu / ca quannu si difridda un si fatiga/ L’amuru tua è cumu na vampeata/ Ca mi vruscia lu coru e si stuta sudu/ Quannu intra ‘si vrazzi tua iu pu’ ci muoru”, Il ferro va lavorato quando è caldo/ Perché quando si raffredda non si modella/ Il tuo amore è come un grande incendio/ Che mi brucia il cuore e si spegne solo/ quando sto tra le tue braccia e volo”(pp.184-185); e sempre con la forza incisiva ed espressiva del dialetto viene presentato cosi il padre: “Pàtrima era ciuotu e zappaturu,/ pèacia all’anima sua duvu si trova,/ ha jettèatu ‘u sangu ppe’ ‘ssu futuru/ senza vidari ‘u mèari o’ ‘na cosa nova”. “Mio padre era ignorante e zappatore./ Pace all’anima sua dove si trova adesso/ Ha buttato il sangue per il mio futuro/ Senza aver mai visto il mare o una cosa nuova”(pp.178-179). Di Curto sono state date varie definizioni ma tutte quante – a mio modesto avviso- limitative, anche se colgono poi alcuni aspetti della poesia originalissima di Curto.

Secondo me Curto è poeta e basta, colui che sa usare o meglio sa imprimere vari andamenti, forme, contenuti, significati alla sua poesia che rispecchia totalmente la sua vita passata e presente. In sostanza Curto si serve di una chiara e non cervellotica o criptica poesia per darci la testimonianza del suo tempo e la sua presenza nel mondo, per farsi conoscere ed arrivare a tutti, e a chi dovesse leggerlo, dandoci un canto, una poesia che è solo sua e che non ha alcun riscontro nella poesia odierna. Che sia cosi è ancora confermato da altri versi che trovo in questa antologia :”Mi hanno rubato con l’inganno/ i sogni per svenderli al mercato/ al primo passante del mattino/ Ora danzano sulla bocca di tanti/ e sono lo zimbello le mie poesie.”(p,162); ”Ad occhi chiusi /scompari dalla scena / e non sei più nessuno”.

Un poeta vibrante, di schiena dritta che dà solo ascolto al suo cuore, non appartenente a nessuna cordata critica o editoriale, Curto è poeta libero e perciò autentico, ben degno di essere letto e meditato, e sono sicuro che piacerà ai giovani in quanto egli nelle sue poesie dice una parola valida per tutti: ”Ti lascio Lorenzo un sacco di parole/ E una montagna di sogni da realizzare/ Ti lascio una terra, l’unica/ Stanca di essere sfruttata/ Ti lascio però le nuvole e miliardi di stelle/ La compagnia sincera di un albero/ E tutte le albe e i tramonti[…]/ Ti lascio con quel segno di contatto/ Che oggi il virus ci ha negato/ Ci toccheremo ancora con l’abbraccio/ E saranno baci caldi e carezze infinite/ A colmare distanze e a far sbocciare il sorriso/ Ti lascio un sacco pesante di parole/ E una vita da costruire con i tuoi sogni/Ti lascio questi versi sfusi impastati/ col vento e il lievito della speranza per il futuro”(pp.137-138).

Ormai è da vari anni che leggo i versi/vita di Curto e mi pare di poter dire che il poeta calabrese ma perugino per motivi di lavoro è uno tra i più dotati e sostanziosi (nel senso che veramente ha qualcosa da dire) rispetto a tanti altri autori e poeti del nostro tempo: Curto non gioca con le parole, le impegna a dire vere emozioni e nel mettere a fuoco tutto quanto l’ardore umano e ideologico di questo poeta che in alcuni versi, che sto per citare, afferma decisamente: “quando il mondo finisce/ dentro un vicolo cieco/ e la tua vita insulsa / è diventata una discarica/ quando il sogno più bello / è finito al mattino/ prendi il tuo bagaglio e parti,/ Ho solo sfiorato la vita/ navigando tra marosi,/ Nella bufera ho perso il sogno:/ sarà adagiato tra i fondali cupi./ Cancella questa pena/ col tuo sorriso e passa/ col tuo sereno dentro i miei occhi,/S’acquieta la bufera/ che ora mi dilania dentro”. (Non vedrà il tramonto questo giorno).

Carmine Chiodo

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