Alesside

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Platone così scrive di Alesside: “Commedia Italiana; discorso di Platone sulla poesia.

Chiunque viene in Turio, e ne parte senza aver conosciuto Alesside, ha torto. Alesside è l’onore della commedia Italiana: ha nell’ingegno tutto il sale di Aristofane, ma non ne ha nel cuore la malignità. Io ti parlo di Aristofane per darti un soggetto di paragone, che noi sogliam trarre dagli oggetti a noi più noti, ma che spesso rassomiglia pochissimo a quello cui lo paragoniamo. Aristofane è il primo tra i nostri comici: Alesside è il primo tra i comici Italiani, ma Alesside non ha nulla di comune con Aristofane; né la commedia Italiana ha nulla di comune colla commedia Greca.

Eupoli, Cratino, Aristofane, tutti quanti sono i nostri comici; se taluno tra’ cittadini meriti di esser notato perché ladro, perché adultero, perché omicida, lo nominano spiattellatamente, e quasi diresti che perseguitano più l’uomo che il vizio. Questa, che noi chiamiamo libertà, ed è licenza, in Italia gli ordini pubblici meno popolari l’hanno frenata. Alesside ha dipinto il lusso de’ Tarantini, le follie de’ poeti e degli amatori della tragedia, il parasito, il falso Pittagorico, la meretrice Oropa le ballerine, e che no[1]. La sua fantasia è feconda, facile il suo pennello. Ma nell’infinito numero de’ di lui quadri, nessuno legge mai scritto il suo nome: potrà riconoscervisi, potrà mormorarne; questo suo mormorare lo potrà scoprire; ma Alesside ha sempre diritto di dirgli: tu stesso ti sei scoperto; io per certo non avea nominato nessuno.

Io spero che un giorno l’abuso che i comici nostri fanno della loro licenza offenderà l’orgoglio di qualche potente; dico di qualche potente, perché potrà sempre offendere impunemente i diritti del savio e la fama del buono: il popolo non vendicherà mai nessuno di costoro. Ma se mai gli scherzi de’ nostri poeti che già sono convertiti in rabbia, offenderanno un potente, spero che un giorno costui li costringerà ad una decenza maggiore. Alesside ha un figliuoletto, per nome Stefano, il quale già mostra le più felici disposizioni per la commedia. Forse un giorno eguaglierà il padre; ed io già ho detto a costui: Stefanuccio porterà la buona commedia in Atene; la vita di un uomo solo non basterebbe ad emendarci dai tanti vizj onde è turpe il nostro teatro: tu ne lascerai la cura al tuo erede[2].

Alesside crede che il divieto di nominar le persone renda la commedia e più bella e più utile; più bella perché più vera, più utile perché più giusta – Se potrai nominar Socrate, ti sarà facile comporre le Nuvole; se il nominarlo ti è vietato, tu sarai costretto ad osservare con maggiore attenzione le sue minime tinte e ad esprimerle con esattezza maggiore, onde poterlo, anche non nominato far riconoscere. I tuoi quadri dovranno per ciò esser meglio disegnati – Se potrai nominar un vizio col nome proprio, non sarai obbligato a descriverlo; le tue idee si presenteranno agli altri in un modo tutto intellettuale, e diventeranno piuttosto soggetti di ragionamento che di sensazione. Noi non sogliam ridere udendo la parola zoppo, sebbene molte volte, vedendo uno zoppo ridiamo. Or eccoti tutto il segreto della buona commedia. Se non farai altro che dar dello zoppo a colui che è l’oggetto della tua censura sarai, villano e non scherzevole; desterai contro di lui disprezzo, odio, tutto, fuorché riso. Vuoi tu farmi ridere? Non ti basta nominare lo zoppo; devi descrivermelo, quasi farmelo vedere. Or se Aristofane non avesse potuto nominar Socrate, non mai la vostra commedia avrebbe avuto ad arrossire della morte del più giusto tra i Greci. Ben avrebbe Aristofane potuto mostrar sulle scene un uomo, sospeso a mezz’aria, in un canestro, insegnando ai figli a bastonare il padre, ed ai debitori a truffare i loro creditori; ma quale degli spettatori avrebbe potuto dire: questi è Socrate? Ed ecco come la perfezione di ogni arte tende sempre alla perfezione della città, ed i mezzi per ottenere in quella il bello non sono diversi dai mezzi per ottenere in questa il buono.

Nessun altro, io conosco, che intenda meglio di Alessie i segreti dell’arte sua.

La commedia che non piace, continuava egli, non istruisce; e quella commedia non piace la quale ci dà un’istruzione di cui non abbiam bisogno, e dipinge idee ed affetti non nostri: quella piace al maggior numero, ed al maggior numero è utile, che, dipingendo idee ed affetti più comuni, contieni la materia di più comune istruzione…” (Platone in Italia traduz. di Vincenzo Cuoco).

Ricerchi questo prezioso scritto chi volesse conoscere il resto delle argomentazioni sul tema.

Non volevamo discutere sulla commedia in Atene e la sua degenerazione, superata da Alesside, volevamo segnalare questo nostro drammaturgo e di conseguenza il figlio Stefano e Menandro.

Quanti ricordano che questo grande commediografo, portato a esempio da Platone, è nato a pochi passi da noi; da noi che dobbiamo tanto a Turio, la nuova Sibari.

Quanti sanno che in quella città scomparsa sono vissuti uomini così illustri? Cosa si fa per ricordarli?

Qualcuno li ritiene greci, ma sono magnogreci. Allora ecco lo scopo del nostro intervento.

Giuseppe Abbruzzo


[1] Sono titoli di molte commedie di Alesside.

[2] Stefano, figlio di Alesside, fu anch’egli poeta comico, e padre di Menandro, che fu l’autore della commedia Ateniese detta la nuova.

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