Una nota

Bata - Via Roma - Acri

Fra le vecchie carte del nonno trovo una nota inviata al Direttore dell’Avanti:

«Uno specifico per il Mezzogiorno d’Italia / Egregio Sig. Direttore,

Dall’ Avanti! (30 aprile 1906) riprodotto dalla Riscossa, quindic(inale) di Acri (15 maggio 1906). – “Ce l’hanno molti”, e non sarà male che se ne rinfreschi il ricordo. Ha il vantaggio di un’applicazione relativamente facile e della quasi sicura guarigione dell’ammalato.

“Qual è la malattia di cui soffre il Mezzogiorno?

La Camorra?”

Come sarebbe a dire? In ogni provincia, città, comune, in ogni ufficio ecc. ecc. si è intrufolata… come dirla? Birba et similia, col solo scopo di raspare le ossa ai poveri, agli ignoranti, ai deboli ecc.

E lo specifico? Ecco:

“Trasportare tutti coloro che si trovano da Roma in su (in tutti gli uffici ecc. ecc) nel Mezzogiorno e quelli del Mezzogiorno mandare lassù nel Settentrione. Aggiunta: la rivalsa dei danni e senza la solita pietà! A titolo d’esperimento non sarebbe certo un male”.

Giuro che ci sarebbe un gran miglioramento.

Con rispetto.

Acri …. 1946                                  Dev.mo Prof. Filippo Giuseppe Capalbo

N. B. Si prega sopprimere la firma, mettendo le semplici iniziali; non per paura, ma perché taluno potrebbe pensare, che chi scrive, voglia aspirare all’immortalità».

Capalbo era tra i fondatori, direttore e anima della testata acritana, e non Vincenzo Giannice, come ha sostenuto il dott. Cesare, perciò il riferimento nella lettera.

Non aggiungiamo commento si è voluta riportare la lettera per far discutere su un vizio atavico degli italiani. Aveva regione un autore: Massimo D’Azeglio disse che l’Italia era fatta e bisognava fare gli italiani. Non si era accorto che all’indomani dell’Unità gli italiani erano belli e fatti.

Devo aggiungere che mio nonno, del quale ho riportato qualcosa, ebbe vita travagliata.

Il quindicinale “La Riscossa” gli procurò non pochi travagli e dispiaceri. L’esperienza di quel quindicinale, però, non lo scoraggiò e a distanza di un decennio dalla chiusura prese a lavorare, per tirarne fuori un altro. Tutto questo è documentato dalla seguente lettera spedita dagli USA.

“Ill.mo Signor Professore,

Non può immaginare quanto gradita m’è stata la sua lettera, la quale improntata come era ad un cordiale affetto, mi ha fatto rivivere.

Come in una fatasmagoria mi è apparsa Acri, la mia infanzia, i miei compagni di scuola, le strade, tutto insomma ciò che è caro ad uno lontano dalla terra natia.

Le sue parole improntate alla più alta modestia, non mi hanno sorpreso; conosco ciò che tanto la distingue.

Il suo lavoro indefesso in prò della società odierna parla chiaro di un cuore che sempre pugnerà per la Giustizia di chi sempre è stato oppresso.

Ho avuto molto piacere nel sentire che le Riviste che Le ho mandato Le hanno fatto piacere. Mi farò un dovere di fargliene avere sempre. In quanto al giornale che Lei s’è prefisso di fare uscire, io posso incaricarmi della vendita qui a New York e fare il possibile di renderlo noto fra tutti i compaesani, cercherò anche degli abbonamenti.

Con i segni della più alta stima mi creda – Peppino Lo Giudice                      29.3.1915”

L’idea di un nuovo giornale non si realizzo, certamente, per l’entrata in guerra e, successivamente, l’avvento del fascismo e le persecuzioni delle quali il Capalbo fu fatto segno.

Giuseppe Abbruzzo

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