Corruzione e indifferenza, due facce della stessa medaglia

I recenti fatti di cronaca giudiziaria della Liguria e, poco prima, della Puglia, a differenza di quanto ci saremmo aspettati, sono stati accolti dai più nell’assoluta indifferenza. Non ci è sembrato di cogliere quello sdegno che gli eventi meritano. Di particolare gravità quanto è successo in Liguria per via delle misure cautelari nei confronti del Presidente della Regione e di altri attori della vicenda. Gli interrogatori di alcuni personaggi hanno fatto trapelare un sistema che, se provato, dimostrerebbe un meccanismo collaudato di commistione tra malaffare e politica, con la seconda che si presta in cambio di tangenti e elargizioni.

Ferma restando la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio, è comunque difficilmente ipotizzabile che la concessione delle autorizzazioni alle misure cautelari (diverse dall’avviso di garanzia) sia avvenuta senza valutare l’immaginabile materiale probatorio che necessariamente deve reggere tutta la vicenda. Ciò che colpisce, comunque, al di là degli eventi e dei personaggi è, ripetiamo, l’assoluta indifferenza della gente. Archiviata in fretta la stagione di “tangentopoli”, con i suoi eccessi, le sue manchevolezze ma anche con la sua enorme portata in termini di sconvolgimento e pulizia, sembra che il malaffare sia ritornato a essere ritenuto una componente insita nella gestione della cosa pubblica e che la sua progressiva e costante emersione non faccia quasi più notizia né sia più in grado di sconvolgere nessuno.

Qualche giorno fa, in un bar, mentre sorseggiavamo un caffè, ci è capitato di ascoltare alcuni anziani signori seduti a un tavolo che paragonavano le vicende liguri con un fatto, certamente grave se vero, di natura personale che ha visto coinvolto un noto esponente del PD in un duty free nell’aeroporto di Fiumicino. Cercare di fare di tutta l’erba un fascio corrisponde essenzialmente al tentativo di depotenziare la portate di eventi gravi, assimilandoli ad altri di significato e gravità completamente diversi. 

L’episodio famoso del profumo a Fiumicino, potrebbe, al massimo, essere derubricato come un piccolo reato, che, in considerazione della “tenuità del fatto” condurrebbe – tenuto conto anche della disponibilità dichiarata al pagamento dell’oggetto – addirittura all’archiviazione o a una minima sanzione. Paragonare queto evento a quello che sembrerebbe un sistema collaudato di tangenti e concussioni è indice di come un populismo imperante veda nell’omologazione la via maestra per una normalizzazione allarmante. In questa commistione tra marcio, meno marcio, poco marcio e indefinibile, sta parte dell’essenza dei tempi che stiamo vivendo.

La parola d’ordine è fare apparire tutto normale, tutto tollerabile. Già alla fine della prima metà anni Novanta la restaurazione era evidente e con essa l’amarezza da parte di chi aveva salutato con favore una nuova stagione di pulizia. Per chi, come noi, ingenuamente, aveva sperato in un nuovo ordine, è stato come una finale dei mondiali persa al novantunesimo con un autogol, difficile da mandare giù.

L’indifferenza e la mancata indignazione di oggi, così come il tentativo di dire “in fondo così fan tutti”, sono dirette figlie di quella restaurazione avvenuta precedentemente. D’altra parte, oggi, il tentativo di restaurazione si è espanso al punto che definirsi antifascista è quasi una nota stonata. La RAI è totalmente monopolizzata dal governo e chi si oppone a questo monopolio viene messo alla porta o sottoposto a provvedimento disciplinare. Il nesso tra la nuova normalizzazione e il controllo diretto e asfissiante dei media è talmente ovvio che lo diamo come un postulato. Ciò che ovvio non dovrebbe essere da parte di ogni spirito libero è adattarsi a questa normalizzazione o, peggio, legittimarla attraverso il silenzio e l’apatia.

Massimo Conocchia

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