La memoria del I maggio tra precarietà e morte

Il I maggio celebra in tutto il mondo la festa del lavoro, celebrando chi per esso – e per rivendicare migliori condizioni – ha sacrificato la propria vita. Quella memoria rivive ai giorni nostri un po’ appannata dal tempo e dai mutati contesti, sicuramente di maggiore tutela, se non altro in termini teorici e di previsione. Tuttavia, ancora oggi il lavoro continua ad essere causa di morte e di precarietà. Non vi è giorno in cui non si registrino morti sul lavoro e, in non pochi casi, durante la formazione al lavoro. L’ingente numero di vittime non può che essere in parte legato alla scarsa osservanza di norme sulla sicurezza, che pure ci sono.

Viviamo oggi più che mai un gap tremendo tra norme e rispetto delle stesse. La scarsa osservanza dei criteri di sicurezza è dovuta a varie cause, tra cui necessità di rispetto dei tempi, subappalto, pressappochismo e tant’altro. Ricordare il I maggio significa, anzitutto, rivendicare sicurezza e dignità sul posto di lavoro. Significa ricordare che il lavoro è uno strumento per vivere, non per sopravvivere o morire.

Tutto il dibattito sul salario minimo, ancora ben lungi dall’essere definito, dimostra quanto lunga e costellata di insidie sia la strada per arrivare a una retribuzione dignitosa. Parallelamente, lo smantellamento di quegli ammortizzatori – come il reddito di cittadinanza – che permettevano un sussidio minimo a chi era privo di lavoro e consentivano a molti di sfuggire al giogo di paghe da fame, sono state prontamente smantellate. La conseguenza è nuovamente il predominio di chi sfrutta la condizione di bisogno imponendo paghe da fame e scarse tutele. La dignità del lavoro passa anche attraverso il recupero di condizioni economiche e umane tali da non svilire la dignità e l’onore del lavoratore stesso; passa anche attraverso la tutela e il rispetto delle norme di sicurezza assai spesso disattese.

E’ di pochi giorni fa la notizia di un lavoratore triturato ed estratto a pezzi dalla macchina tritarifiuti. Se ciò è stato possibile, è solo per il mancato rispetto di norme. Chi si trova a lavorare, soprattutto in certi contesti, ha spesso come dictat il rispetto dei tempi prima ancora delle norme e dei divieti. La minore rigidità sul piano del rispetto normativo porta con sé i pericoli che conosciamo e alle cui conseguenze quotidianamente assistiamo. La politicizzazione del I maggio, ha fatto sì che anche questa festa, come già il 25 Aprile, sia divenuta motivo di divisione e di contrasto. Piazza San Giovanni, emblema storico della Sinistra, viene puntualmente disertata da chi sta dall’altra parte.

Come la festa della Liberazione, anche il I maggio diventa terreno di scontro e questo non fa che indebolire maggiormente i lavoratori. Durante il Ventennio la celebrazione del I maggio, istituita già nel 1890, venne abolita e sostituita dalla festa del lavoro nazionale il 21 Aprile.

La storia si ripete, sotto mutate spoglie, ma il risultato è lo stesso: l’atteggiamento urticante della Destra di governo verso tutte quelle manifestazioni che ricordano le battaglie condotte e vinte dall’altra parte politica, dalla sconfitta del nazi-fascismo alla  rivendicazione e conquista di condizioni di lavoro dignitose. Tentare di sbianchettare queste ricorrenze, con la colpevole connivenza dei mezzi di informazione, significa tentare di riscrivere la storia, puntando sulla memoria corta degli italiani e sulla loro atavica scarsa propensione a ribellarsi.

“Avanti popolo, alla riscossa…” continua da essere un buon viatico per riprendere la lotta, per rivendicare diritti. E se a trionfare non sarà “bandiera rossa” poco importa, ciò che conta e la difesa di diritti e tutele a cui quel vessillo ha pure contribuito.

Massimo Conocchia

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