Così insegnavano le nonne

Nessuno si è soffermato mai sulla pedagogia e didattica popolare messa in uso dalle nostre nonne per educare i ragazzi che, un tempo, il più delle volte, non avevano né il tempo, né la possibilità di frequentare la scuola pubblica, ammesso che ve ne fosse stata una vicina.

Quelle anziane, però, senza conoscere nemmeno il significato dei termini suddetti riuscivano a insegnare di tutto e a educare in modo perfetto.

Una volta, in occasione della presentazione di un libro, feci riferimento all’insegnamento della metrica messa in atto dalle suddette, facendo arricciare più nasi, visto che non si insegna più nelle scuole superiori e sembrò impossibile la mia affermazione. Quell’insegnamento avveniva educando l’orecchio e facendo scandire il ritmo con filastrocche, giochi accompagnati da strambotti ecc. L’orecchio diveniva così esercitato come si può constatare nell’endecasillabo dei canti popolari, ma si ha, anche, il quinario, il senario ecc. Tutti perfetti.

Le ragazze, con il gioco della corda e quel saltellare ritmico, accompagnandolo col canto non solo si esercitavano all’agilità, alla resistenza, ma si educavano al ritmo e al canto.

Servendosi dei giochi, come il nascondino, si educava al mimetismo, tanto necessario per occultarsi alla vista di malintenzionati; col gioco della trottola si impartiva quella che oggi si dice, con bella espressione: educazione oculo-manuale. La perfezione era tale, che con la trottola si colpiva quella dell’avversario; si colpiva, perfino, una moneta da 20 centesimi, ecc.

Si potrebbe continuare, ma veniamo all’educazione all’ascolto; a quello della fantasia; del saper porgere, raccontare, declamare.

Lo si faceva servendosi delle “rumanze”, raccontate accanto al fuoco nelle fredde, lunghe serate d’inverno, o all’aperto, al chiaro della luna piena nelle calde serate estive.

Un esempio? Lo farò, riportando un qualcosa che si attribuiva al sommo saggio Salomone, che in dialetto acritano suona: Sadamùnu, e nell’alterazione: Sadamùru.

La nonna raccontava, per far rilevare quanto importante fosse l’osservazione e la perspicacia:

“Un giorno un re andò a caccia insieme ai suoi tre figli e a Salomone. Nell’attraversare un bosco il primo dei tre disse: – Che bei forconi! -. Salomone disse: – Razza port’a cavallu (La razza riconduce al cavallo).

Passarono su un prato e il secondo disse: – Che bella terra! – E Salomone replicò: Razza port’a cavallu!

Finalmente la compagnia giunse in un ampio campo e il terzo dei figli del re disse: – Bel campo trincerato! -. E Salomone: Razza port’a cavallu.

Tornati nella reggia il re, non comprendendo il significato delle parole ripetute da Salomone gliene chiese la spiegazione. Quel saggio risolse così l’enigma, frutto della sua perspicacia e dell’attenzione sulla reazione dei principini: – Il primo dei tre principini dall’apprezzamento fatto è figlio di un carbonaio; il secondo, apprezzando la bontà della terra per esser coltivata è figlio di un contadino; il terzo, che ha notato il campo trincerato è tuo figlio.

Il re così conobbe l’infedeltà della moglie”.

Questa storiella è forse la meno appariscente, per poter dare un giudizio su quanto detto in apertura, ma va detto che una ricerca su quel modo di educare non sarebbe inutile e vano.

Giuseppe Abbruzzo

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