Eccoci alla Pasqua e alle usanze
Sulle usanze pasquali antiche e moderne, riportiamo qualcosa apparsa su giornali dell’800. Si vedrà che tutto si modifica, ma non cambia. Agli usi si dà, perfino, significato diverso, nei vari tempi.
“I nostri santissimi maggiori – si scrive sul primo – quando rinnegarono le bugiarde ed empie follie del paganesimo non abbandonarono le loro usanze patrie che erano per se stesse indifferenti, anzi di sovente le santificarono, convertendole quasi in simboli religiosi. L’uovo pasquale n’è una prova. Imperocchè i Romani incominciavano le loro cene, che corrispondono ai nostri pranzi, colle uova e finivano coi frutti. Quindi il noto proverbio ab ovo usque ad mala, ossia il principio ed il fine d’ogni cosa. (…) Si potrebbero citare qui Cicerone, Varrone, Orazio, Ateneo, ed altri classici scrittori, quali parlano delle uova come del primo cibo ossia antipasto che si porgesse alla famelica avidità dei commensali. L’uovo non solamente rallegrava le mense degli antichi Romani, ma eziandio figurava nelle feste di Cerere, nelle quali fra varie altre cose portavasi in processione quel tanto gradito cibo.
Ma (…) si mangiano le uova dai cristiani perché (…) simbolo della risurrezione. Di più essendo prima in tutto il lungo digiuno quadragesimale, mitigato ora tanto da benigni Indulti con sapientissime ragioni accordati dalla Chiesa, vietato l’uso delle uova, ne veniva che nel giorno Pasquale se ne facesse molto grande uso da dover poi ricorrere ai rimedi per isgravare il povero stomaco”.
Gli antichi, ancora, ornavano “coi fiori d’ogni ragione, come facevano appunto i nostri maggiori. Costoro non solamente inghirlandavano di rose le vivande, ma anche le tazze ripiene di spumante liquore. L’origine di questa usanza si perde nelle favole dell’antichità, parlandone Omero nell’Odissea. Inoltre, tappezzavano di rose, di viole e di altri fiori i triclinii ossia sale da pranzo, e i letti su cui si assidevano a lieta mensa i nostri maggiori. E come si scorge in Tertulliano i Cristiani sebbene con moderazione non ischifavano questa gioconda usanza. Anzi la Chiesa che di fiori tanto si diletta, chiamando il suo Sposo risorto il bel giglio dei campi, ed ornando i suoi templi di fiori vari e finti pare invitare i fedeli ad onorarne le mense nel più lieto giorno dell’anno.
Con quanta ragionevolezza poi si mangi l’agnello nel giorno di Pasqua è inutile farne parola. Non è esso la figura del Signore ch’è l’agnello mansueto dominatore della terra e l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo? Eppoi essendo stata la Sinagoga figura della Chiesa non era convenevol cosa che si mangiasse l’agnello dai cristiani nella loro Pasqua, senza però le inutili ora ceremonie mosaiche, come si faceva dagli Ebrei?”.
Come si vede i riscontri con le nostre usanze non sono poche. In altro giornale di fine 800, questo laico, si riporta a proposito di “usanze pasquali”: “Nei primi secoli della Chiesa cristiana la Comunione pasquale non era una cosa tanto magra come l’attuale: perché contemporaneamente all’Eucaristia si distribuivano pure nelle Chiese e si mandavano agli assenti le eulogie.
Con questo nome greco s’intendevano doni pasquali, consistenti in vino, carne, e piatti cucinati, che si portavano in Chiesa per esservi benedetti, e vi erano poi distribuiti con le stesse cerimonie che erano praticate nel dare l’Eucaristia.
Per bere e mangiare a dovere le eulogie bisognava essere digiuni (…).
Al tempo pasquale Papi, Vescovi, e Preti si mandavano vicendevolmente le eulogie, e i loro cuochi avevano a quei giorni un lavoro grosso, come quello dei nostri pasticcieri nell’Epifania.
Ma siccome Papi, Vescovi, e preti sono intendenti di cucina, cosi si avvidero presto che quel mandare attorno dei piatti cucinati, li freddava, e a molti di essi, come i fritti, la cui bontà sta nell’essere ardenti di padella, toglieva le migliori qualità.
Per il che all’usanza antigastronomica di mandare a casa le eulogie fu sostituita quella più conforme alle leggi culinarie di invitare gli amici, e i colleghi a tavola, di farla benedire dal prete, e così avere contemporaneamente le grazie celesti accordate alle eulogie, e il sapore prelibato dei piatti freschi.
Quindi al tempo pasquale invece dei piatti portati in giro, si videro poi i preti girare di casa in casa per benedirvi le eulogie. Ora essi girano ancora, ma per benedire le case e cacciarne gli spiriti malefici”.
Altra precisazione del laico articolista: “In commemorazione e per rappresentazione del Resurrexit era prescritto ai fedeli dei primi secoli di pregare in piedi eccetto i penitenti i quali dovevano stare in ginocchio, essendo il tempo pasquale tempo di remissione per essi”.
Essendo la posizione scomoda “specialmente per il sesso debole e per coloro che fanno vita sedentaria, andò presto soggetta a contravvenzioni, per il che il Concilio di Costantinopoli dell’anno 692, e quello di Tours dell’anno 818, dovettero richiamarla in uso con canoni secchi e severi”.
A leggere vecchi giornali si apprendono molte cose, specie se si “sentono” campane contrapposte.
Giuseppe Abbruzzo