La “fujtina”, un fenomeno sociale e di costume
La “fujtina”, – ossia il fatto che due giovani fidanzati scappassero di casa per un certo numero di giorni, mettendo, di fatto, tutti di fronte al fatto compiuto, “riparabile” solo con il matrimonio – nell’immaginario collettivo è ritenuto un fenomeno diffuso prevalentemente in Sicilia. In realtà era in uso anche dalle nostre parti e noi stessi ne conserviamo vivida memoria.
C’erano, sostanzialmente, due tipi di “fujtina”: il primo tipo era legato sostanzialmente a differenza sociali e di “censo” tra le famiglie dei due giovani, in forza di questa differenza, la famiglia agiata – o in qualche caso nobile – non acconsentiva alle nozze, per cui i due giovani decidevano di scappare, “consumare” il matrimonio, costringendo la famiglia contraria a capitolare.
Si trattava, nell’esempio citato, di una “fujtina” autentica che, per essere tale, avveniva all’insaputa delle rispettive famiglie.
Il secondo tipo era quello più diffuso dalle nostre parti: era una “fujtina a trucco” per così dire, nel senso che era spesso favorita e propiziata dalle famiglie, specie da quella meno abbiente. Il matrimonio, soprattutto per la famiglia della sposa, significava un costo notevole in termini di dote e corredo cui provvedere in termini di spese per il banchetto nuziale e l’abito da sposa.
Il fatto che i ragazzi scappassero risolveva tutti i problemi. Al loro rientro si provvedeva a farli sposare in fretta e furia, senza tanti fronzoli né festeggiamenti. In genere la “latitanza” durava da qualche giorno fino al massimo a una settimana, dopo di che rientravano a casa e tutto veniva ricomposto alla meglio. Nel nostro immaginario di ragazzi, ricordiamo tante fujtine “fasulle”, cioè del secondo tipo ma ben poche di quelle del primo tipo. I tempi cambiavano e con essi cadevano molti – anche se non tutti – retaggi.
In molti casi la falsa fujtina era così ben orchestrata da essere degna della migliore commedia dell’arte. La madre di lei, in genere, preparava persino il fagotto alla ragazza. Alcune ore dopo la scomparsa, si udivano urla e pianti della madre “complice”, che recitava un doppio ruolo: complice in privato, arrabbiata e sconsolata in pubblico per l’onore “violato”, cui solo il matrimonio poteva porre rimedio. Un caso, in particolare, ci è rimasto in mente: la ragazza apparteneva a una famiglia molto numerosa e particolarmente disagiata.
La madre, da giorni, aveva preparato la fuga e nel giorno stabilito, all’alba, i due scapparono. Poco lontano, uno dei fratelli della ragazza, tenuto all’oscuro di tutto, scorse la sorella in fuga e la bloccò, malmenando il malcapitato fidanzato. Orgoglioso dell’impresa, il giovane rientrò a casa con la sorella, “salva” nell’onore e con lei la famiglia. La madre, dopo un iniziale stupore, si scagliò contro il figlio per il fallito progetto di fuga. “Sei un cretino?” , – ripeteva al figlio – “Adesso chi ci crederà più alla fuga di nascosto? Hai tu per caso i soldi per far maritare tua sorella come si deve? Capisci in che casino ci hai cacciati?”.
Il giovane sbiancò, incredulo per essere passato di colpo da “eroe” a cagione di problemi seri per la famiglia. Alla fine si trovò uno stratagemma altrettanto efficace: si lasciò che i giovani si frequentassero di più e che la natura facesse il suo corso. La ragazza restò incinta e tanto bastò per evitare abito bianco e nozze. Tutto è bene quello che finisce bene!
Quanto descritto e altri fenomeni di costume contribuiscono a darci un’idea di ciò che eravamo e di come ognuno cercasse di affrontare la vita e i suoi multiformi problemi come poteva. Il bisogno e la fame erano degli stimoli non indifferenti per scrollarsi di dosso retaggi e usanze non sempre compatibili con il vivere quotidiano.
Massimo Conocchia