Vaccarizzo Albanese: “L’acqua muta / Ujë pafolur”, una tradizione tra il sacro e il profano

È dedicato a tutti gli arbëreshë, con l’orgoglio delle loro radici il nuovo libro di Francesco Perri: Acqua muta / Ujë pa folur, significato, similitudine e confronto fra Italia e Albania, progetto editoriale FAA.

Si tratta di una approfondita ricerca sull’usanza, che si pratica a Vaccarizzo Albanese la sera del Sabato Santo e il legame con l’Albania.

Dai dati raccolti emerge che, anticamente, secondo la credenza popolare, l’acqua aveva un potere di guarigione. Veniva usata per sanare malattie o rimuovere ogni forma di male o credenza popolare come il “malocchio”. Era, perciò, considerata acqua benedetta, pura e miracolosa. 

Tale usanza si pratica ancora oggi, anche se in maniera meno rituale e scaramantico, a Vaccarizzo Albanese e in altri paesi arbëreshë, ma con qualche variante, come per esempio a San Cosmo Albanese. 

A San Demetrio Corone, Spezzano Albanese e in altri paesi, invece, viene chiamata “Acqua rubata” “Vemi e vjedhëmi / kallomi ujit”. Una tradizione, però, completamente diversa dall’“Acqua muta” di Vaccarizzo Albanese. 

Nel suo studio sulla cosiddetta “Acqua muta”,Perri, inoltre, esplicita anche il significato e il legame con la tradizione albanese, considerato che questo rituale viene tutt’oggi praticato anche a Polenë, villaggio di Korça, ed in passato era praticato anche in tanti altri paesi.

A questo proposito risulta significativa la testimonianza datata 16 marzo 2024 del prof. Emil Lafe di Tirana che, dopo essersi complimentato con il prof. Perri per il suo saggio, ha testualmente affermato che si tratta “di un valido lavoro, importante non solo per il soggetto ivi trattato, ma anche perché vi si evidenzia che le ricerche comparate degli elementi del mondo arbëresh e quello dell’Albania sono utilissime e rivestono un significativo interesse scientifico”. 

Dal parallelismo fra vecchi e nuovi rituali, legati alla tradizioni dell’acqua muta, dal libro del prof. Perri emerge che a Vaccarizzo Albanese, fino ai primi del Novecento a mezzanotte del Sabato Santo la gente si recava, in assoluto silenzio, presso una sorgente d’acqua dove, dopo aver lavato la faccia, riempiva un recipiente e tornava a casa. Con quell’acqua, che era considerata benedetta, pura, miracolosa, si lavava il malato, e veniva poi utilizzata in famiglia, ricordando che aveva il potere di guarire e di portare fortuna. L’acqua veniva conservata a casa e si usava anche contro il malocchio.

Oggi, invece, la tradizione segue usanze un po’ diverse.

E il prof. Perri descrive i particolari rituali legati all’ accensione del grande fuoco pasquale, alla gente che si reca alla vecchia fontana-“kanalli i vjetër-, per riempiere la bocca di acqua, da portare fino in piazza, per essere, poi, lanciata sul fuoco; il tutto dovrà accadere nel più assoluto silenzio, sia all’andata che al ritorno. È però costume che i giovani tentino in tutti i modi di distrarre e far parlare le ragazze, per infrangere il rito del silenzio e costringerle, così, a ripetere tutto il rituale da capo. A mezzanotte, contemporaneamente all’accensione del fuoco, suonano le campane a festa, e un gruppo di cantori intona l’inno della Resurrezione,“KristosAnesti” Cristo è risorto.

In Italia – scrive Francesco Perri – diversi sono gli studiosi che si sono occupati dell’argomento, mettendo in luce un prezioso patrimonio antropologico delle nostre tradizioni”. 

Gennaro De Cicco

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