La Storia sconosciuta
Nel maggio 1860, con lo sbarco di Garibaldi in Sicilia, si formò, nell’esercito napoletano, precisa un cronista, un partito per: «favorire la riuscita dell’impresa». Vari uffiziali fecero parte del «Comitato riunito segretamente in Napoli dal Ministro sardo, presieduto dal generale Nunziante, ed assistito dall’Ammiraglio Persano e dall’altro generale piemontese Ignazio Ribotti».
Si voleva indurre la truppa napolitana a insorgere, per costringere Francesco II a partire prima dell’ingresso di Garibaldi in Napoli. Il disegno fallì, perché la truppa gli era devota. Si ebbero divisioni fra i capi. Nessuno svelò tutto al re. Entrato Garibaldi in Napoli, e partito Francesco II gli ufficiali, fedeli all’impegno «ritennero per intiero il Reggimento di cui facevano parte (13° cacciatori)». Lo presentarono a Garibaldi, che lo sciolse e «ordinò che si riorganizzasse l’esercito regolare, riunendo tutti gli elementi buoni della rimasta frazione dell’esercito Borbonico». Se ne occupò il Ministero Cosenz; «molti uffiziali rimasti ottennero regolarmente una promozione».
I Savoia, temendo un ripensamento di Garibaldi, sciolsero le truppe volontarie, che insorsero. Si reclamò. Il ministro rispose: «1° Che in Napoli non essendoci esercito, il Piemonte non aveva mai inteso di unire il suo ai residui di questo, ma bensì d’ingrandire il primo; e che per conseguenza chi degli uffiziali napoletani voleva aver l’onore di entrar in quello esercito, doveva assoggettarsi a tutte le condizioni che loro sarebbe piaciuto imporre. 2° Che il generale Garibaldi non avendo avuto nessun potere dal Re, e che il potere conferitogli dal popolo non potendo essere riconosciuto valido, si consideravano come nulli i decreti emanati durante la Dittatura. 3° Che l’esercito Piemontese aveva col fatto conquistato il Regno di Napoli, poiché se esso non giungeva a tempo, a quest’ora Francesco II sarebbe in Napoli, e Garibaldi fosse preso e giustiziato: e che per conseguenza il plebiscito non era stato altro che una urgente necessità. 4° Finalmente che dovendo scegliere per l’esercito, reputava più degni di lode gli uffiziali di Capua e Gaeta, che quelli rimasti in Napoli, i quali infine avevano mancato al loro giuramento, e (…) si erano rimasti lontani dai pericoli e dal teatro della guerra».
I traditori, perciò, non erano bene accetti. Gli ufficiali rintuzzarono. Il cronista sottolinea, appare: «il carattere municipalista piemontese e la mania sfrenata d’ingrandirsi a spese altrui». Gli ufficiali risposero, perché i concittadini si facessero: «una idea chiara della posizione in parola (…) è vero che la maggior parte dell’esercito Napoletano aveva seguito il Re: ma non è men vero che in Napoli ve n’era rimasta una piccola parte, specialmente quella sparsa nei stabilimenti di artiglieria e genio, dei cui lavori si è servito non solo l’esercito dei volontarii, ma ancora quello dei Piemontesi nell’assedio di Gaeta. Di più, del personale di questa frazione se n’erano di già organizzati tre reggimenti di fanteria, 6 battaglioni bersaglieri, un reggimento di cavalleria ed un buon numero di carabinieri; e però se il Ministero, in luogo di sciogliere (che non ne avea il dritto) ne avesse facilitato e corretto il completamento, sarebbero essi già belli e pronti ad entrare nell’esercito Italiano”. Ancora se «si nega che Garibaldi agiva in virtù di ampie facoltà concessegli dal Re Vittorio Emmanuele, bisognava che il ministro sig. Villamarina avesse protestato contro un sì enorme abuso: questo però non solo non si fece, ma il Marchese stesso incoraggiva gli individui a lavorare, e si beava delle ovazioni e dimostrazioni che gli faceva la popolazione. Il disconoscere poi la Dittatura conferitagli dal popolo Napoletano, è lo stesso che disconoscere il potere col quale lo stesso popolo ha eletto Vittorio Emmanuele; e però una tale ragione non è né politica né generosa».
Riguardo al plebiscito, come urgente necessità, precisavano: «non solo è falso, ma è una enorme indegnità: i Napoletani in quell’epoca erano talmente esaltati dalle vittorie di Garibaldi e dai lavori eseguiti al Campo, che poco temevano Francesco; e solo l’indussero ad accelerare il plebiscito, gli emissari piemontesi, e la presenza di Mazzini in Napoli». Tutto, sottolineavano, mirava a far risaltar «il progetto della uffizialità piemontese di escludere quasi tutti gli uffiziali napolitani per covrire» i migliori posti nell’esercito italiano.
La storia ufficiale tace. Gli ufficiali “traditori traditi” precisavano: «Se Francesco Il avesse vinto, voi piemontesi ci avreste abbandonati alla nostra sorte, e noi saremmo stati condannati alla morte o alla miseria; dunque non fummo vili quando per servire a voi ci esponemmo a tali pericoli».
Questa è Storia su cui meditare e non poco!
Giuseppe Abbruzzo