La libertà di stampa e i Borbone
Chi volesse dar vita a un giornale, pur avendo tutti i diritti di parola e di scritto, come si dice, non può farlo se non è iscritto all’albo dei giornalisti. Ognuno mediti sulla libertà di stampa!
Si è voluto vedere come era regolamentata la libertà di stampa sotto i tanto deprecati Borbone.
Dopo la rivoluzione del 1848 si era data ampia libertà di stampa con decreto del 25 maggio di quell’anno.
Il 27 marzo del 1849 fu rivisto il decreto precedente ed emanato quello citato, n. 760, che è intestato: “Decreto portante delle disposizioni per la stampa, pubblicazione e spaccio di scritti, figure e giornali”.
Nell’art. 2 apprendiamo quanto e a chi era consentito pubblicare: “Ogni nazionale che abbia raggiunto la età maggiore, abbia il pieno esercizio de’ diritti civili e politici, e non abbia imputazioni; del pari che ogni società commerciale, e qualunque altro Corpo morale legalmente costituito in Regno potrà assumere la compilazione e la pubblicazione per la stampa di un giornale, di una effemeride politica, o di altro lavoro periodico, sia in foglio volante, sia in fascicoli o puntate di più fogli da distribuirsi in giorni fissi o indeterminati, sotto qualunque denominazione e forma, e sopra qualsivoglia materia versino. Eglino però debbono uniformarsi alla prescrizione de’ seguenti articoli”.
Bene! I così deprecati Borbone, che ci hanno detto a scuola essere nemici della libertà di stampa davano ad ogni cittadino, che godesse dei requisiti su riportati di poter pubblicare giornali e vari.
Chi volesse farlo nella nostra Repubblica non può se non ha un “tutore”, come ce l’hanno gli incapaci d’intendere e di volere. Deve avere, cioè, uno iscritto all’albo dei giornalisti che garantisca per lui. Ne consegue che il cittadino che gode “dei diritti civili e politici”, se non ha un tutore non può esprimere liberamente il proprio pensiero su un suo giornale.
Siamo più avanti o più indietro? In Calabria, poi, le cose hanno diverso andamento dal resto d’Italia.
Chi scrive non ha avuto l’iscrizione all’albo, perché a qualche presidente dell’ordine non gli garbava chi il giornalismo lo praticava dall’età di diciannove anni e scriveva su testate nazionali e locali.
La cosa che non andava evidentemente che chi richiedeva l’iscrizione all’albo scriveva, in particolare, su due testate nazionali, ma di parte: L’Unità e Paese sera. Il materiale inviato non era di pochi fogli, ma pesava ben otto Kg.
Così, per pubblicare “Confronto” ho avuto bisogno del “tutore”.
Chiudiamo questa brutta pagina, su cui ogni cittadino dovrebbe meditare, e, soprattutto i politici garanti della libertà di espressione, e ritorniamo al nostro assunto.
Nell’articolo 3 del decreto in questione si precisa: “Coloro i quali vogliano assumere la compilazione di un giornale, o di altra pubblicazione periodica, dovranno innanzi tutto farne la dichiarazione per iscritto, nel distretto di Napoli al Prefetto di polizia; negli altri distretti della provincia di Napoli al rispettivo sottintendente; nelle altre provincie allo Intendente. La stessa dichiarazione dovranno fare ancora al nostro procuratore generale presso la gran Corte criminale in ciascuna provincia”.
Semplice! E, come si evince ogni cittadino, che godeva dei diritti anzidetti, poteva dar vita ad un giornale o a un periodico. Ai tempi nostri, come evidenziato no!
Si precisava, inoltre: “Per le pubblicazioni politiche le quali comprendano notizie, o trattino di materie politiche o di pubblica economia, dovrà fornirsi una cauzione”.
Si specificava, nell’art. 4 la documentazione da presentarsi e nell’art. 6: “Ogni compilazione periodica dovrà avere un direttore, agente o gerente responsabile, il quale ne assuma la rappresentanza civile e la responsabilità verso la pubblica autorità, per la osservanza del presente decreto e delle altre leggi e decreti vigenti”.
Quest’ultimo articolo rimase in auge in Italia fino all’istituzione dell’Albo dei Giornalisti.
Si potrebbe continuare, ma seccheremmo i lettori, ai quali interessa sapere come i dominanti del momento falsino la Storia. I Borbone, come i Savoia sopprimevano i numeri dei giornali che loro non garbavano, ma davano ai cittadini il contentino della pseudo libertà di stampa.
Giuseppe Abbruzzo