L’emigrazione transoceanica dei meridionali: uno dei primi esempi di discriminazione e razzismo
Tra il 1870 e la Prima guerra mondiale, ossia dopo l’Unità d’Italia, il fenomeno migratorio toccò punte mai viste. Circa 14 milioni di nostri connazionali lasciarono la loro terra per fame, miseria, disperazione. Il grosso dei migranti proveniva dalle regioni meridionali e, in parte, dalle regioni del Nord estremo come Veneto e Friuli. Oltre 4.000.000 dei 14.000.000 scelsero come rotta gli Stati Uniti. Il tentativo di mordere la “grande mela” costava sacrifici immani, a cominciare dal viaggio: circa tre settimane di nave in terza classe, cioè in stiva, ammassati e in ambiente così malsano che le malattie come colera e altre infezioni si trasmettevano facilmente.
Alcuni non superavano il viaggio, morendo prima di arrivare a destinazione. Chi giungeva a destinazione era sottoposto a un calvario umiliante e difficile. Ellis Island era l’isolotto dove avvenivano i controlli e le selezioni. Chi non superava le visite per sospetta infezione, era sottoposto a un periodo di quarantena; altri, giudicati non idonei o cagionevoli, venivano respinti.
Chi tra i meridionali, dopo varie prove, superava i controlli veniva marchiato con una “S”, che stava a significare che si trattava di un italiano del Sud, non propriamente ariano. In buona sostanza si trattava di persone viste come cittadini di serie “B”, non francamente “bianchi”, sporchi, ignoranti e facili a delinquere. Con questo marchio, inserirsi in quel mondo era veramente arduo e, non infrequentemente, per sopravvivere erano costretti a fare i lavori più umili o divenire facile preda della malavita organizzata, la temibile “mano nera”. La storia del nostro popolo, lo sappiamo, è storia di lacrime e sangue.
E’ significativo constatare come il fenomeno migratorio, circoscritto prima degli anni Sessanta, divenne un fenomeno di massa, a testimonianza di come le condizioni della nostra gente peggiorarono dopo l’Unità. Questo è un dato di fatto, indipendentemente dalla posizione di ciascuno sulle modalità con cui il processo unitario avvenne e fu portato avanti.
Uno sguardo disincantato al fenomeno migratorio che investì il Sud Italia da dopo l’Unità permette di ricostruire una storia tragica di razzismo e discriminazione, non dissimile da quello che caratterizza alcuni nostri atteggiamenti nei confronti di chi oggi fugge da fame e guerre. Un atteggiamento di prevenzione e odio che toccò punte estreme con linciaggi di massa nei confronti di nostri connazionali spesso accusati e condannati ingiustamente.
Al di là del caso Sacco e Vanzetti, tra le più buie pagine della giustizia americana, ci fu nel 1891 a New Orleans un linciaggio di massa di 11 italiani, accusati e assolti per essere innocenti ma che, vennero aggrediti dalla folla che assalì la prigione, prelevò questi italiani, che vennero impiccati e sparati. Si tratta di uno dei più grandi linciaggi della storia.
Una vergogna ignota ai più ma che ben descrive il clima di quegli anni. A rendere ancora più rovente e intollerante il clima, ci furono le teorie di alcuni antropologi come Giuseppe Sergi e Luigi Pigorini o di criminologi come Cesare Lombroso, che del Sud contribuivano a dare una visone stereotipata e negativa, che fece comodo alla classe dirigente dell’epoca, cui veniva fornita una pezza giustificativa a politiche inique e discriminatorie già in patria.
Massimo Conocchia