Terra Santa: lo è davvero?

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I recenti accadimenti in Medio Oriente rendono più che mai impellente la domanda posta nel titolo. Ha ancora senso parlare di Terra santa in un luogo da sempre teatro di morte e distruzione? Un’attenta osservazione della situazione mediorientale imporrebbe a chiunque un atteggiamento perlomeno equidistante e certamente più equilibrato rispetto alla maggior parte dei media nazionali e internazionali, fermamente schierati con Israele, pronti a difendere quello che definiscono “diritto di difesa”. Ragioni e torti esistono da entrambe le parti. Un carissimo amico, esperto della questione mediorientale, ci ha illuminato con una serie di considerazioni che ci piace condividere con i nostri lettori per cercare di fare un po’ di chiarezza. In Israele vivono circa 500.000 arabi con regolare cittadinanza, ben inseriti in quella realtà.

Gli ebrei tradizionalisti-ortodossi hanno una posizione di ferma opposizione rispetto al movimento sionista. In sostanza gli ebrei ortodossi non difendono il diritto a insediarsi nella terra dove vivono, convinti come sono che la terra promessa dovrà essere restituita loro dal profeta quando arriverà e non estorta con la forza. Questa parte degli ebrei vota generalmente per il partito arabo ed è fermamente contraria all’attuale politica di Israele. I sionisti sono quelli che difendono il loro diritto a vivere in quel territorio e si oppongono in larga parte alla nascita di uno Stato palestinese, così come la destra radicale.

In tutto questo variegato contesto, c’è, poi, la figura dell’attuale premier, Netanyahu, le cui vicende giudiziarie sono rinviate per via dello stato di guerra. Proprio in ottobre erano in programma una serie di proteste in tutto il Paese per chiederne le dimissioni. C’è poi una fetta non secondaria di israeliani che sono abbastanza indifferenti alla storica querelle con gli arabi.

Per quanto riguarda i palestinesi, sono relegati in una striscia grande come la Lomellina, dove vivono oltre due milioni di persone ammassate e che non possono uscire perché Israele ha eretto un muro che impedisce loro di andare via da lì. Gli arabi, dal canto loro, rappresentano una popolazione altrettanto variegata e composita, con una parte di radicali, che interpretano in maniera rigorosa e rigida la legge islamica, secondo la quale, ad esempio, una donna che resti incinta al di fuori del matrimonio deve essere sacrificata da un membro della stessa famiglia. E’ per questo motivo che molte di esse si rifugiano nel convento cristiano di Betlemme, formalmente come lavoratrici, in pratica per dare alla luce in assoluta segretezza il figlio, che di fatto è un non nato, senza nome e per questo domani più facile recluta di Hamas

Accanto a questi c’è una moltitudine di persone che vivono con insofferenza questo stato di tensione che significa per loro disperazione e miseria. Il terrorismo, d’altra parte, non nasce sugli alberi ma è conseguenza diretta delle condizioni in cui Israele costringe a vivere quella popolazione. Sarà senz’altro vero che i terroristi scelgono come rifugi i sotterranei degli ospedali e delle abitazioni civili ma è questo forse un buon motivo per abbattere ospedali e edifici, sacrificando gente innocente per centrare quell’obiettivo? E un ragazzo che resta solo e che abbia visto i propri genitori uccisi in maniera brutale, quale altro scopo può avere nella vita se non quello di vendicarsi?

Come si vede la situazione è complessa;  torti e ragioni sono da entrambe le parti ma negare all’altro il diritto ad esistere come Stato non trova giustificazione alcuna e l’atteggiamento di chi come gli Stati Uniti proteggono e giustificano questo stato di cose è ugualmente colpevole.

L’unica, per quanto difficile, soluzione è la creazione di due Stati, non ne esiste un’altra.

Altri focolai di guerra covano sotto la cenere: la miccia si chiama Taiwan. Se la Cina invadesse Taiwan, sarebbe una altamente probabile causa di un conflitto mondiale. C’è da augurarsi che questo non succeda mai. Le prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti rischiano di complicare ancora di più i focolai attualmente presenti.

In America viene data per certa la vittoria di Trump, il quale, il giorno dopo direbbe a Netanyahu di completare il lavoro nella striscia di Gaza. Insomma, un futuro quanto mai incerto con soluzioni non semplici né immediate.

Massimo Conocchia

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