“Suoni diversi”: Francesco Curto ci regala un’altra bella creazione

E’ fresco di stampa “Suoni diversi” la nova raccolta di poesie del poeta acrese, che da anni vive a Perugia. Il libro – 198 pp, Morlacchi editore, 2023 – si presenta con una bella veste editoriale, corredato da due interessanti prefazioni di Luigi Maria Reale , la prima, e Sandro Allegrini, la seconda, due grandi intellettuali, che da tempo scrivono sulla poesia di Curto, permettendoci di coglierne aspetti e letture meno ovvie. Curto è un poeta che ha ovunque raccolto apprezzamenti ed è presente in molte antologie blasonate.

Le nostre impressioni, pertanto, vanno prese nell’unico senso che le generate, quello di un’umile manifestazione di affetto da parte di un amico fraterno, null’altro. A Francesco ci legano molte cose, dalle comuni origini, all’amore per la nostra terra,   al bisogno di rievocare aspetti di vita vissuta ormai definitivamente  persi, il cui valore intrinseco si è ingigantito, per contrappasso, man mano che ci allontanavamo da quel mondo e da ciò che nella sua semplicità rappresentava. L’amore per il dialetto, la “lingua” dialettale e non il vernacolo, come giustamente sottolinea Sandro Allegrini, è un altro punto che ci accomuna.

Leggere i versi di Francesco Curto, ci riconduce irrimediabilmente a un mondo perduto e rarefatto, che, con i suoi drammi e le sue infinite miserie esistenziali, si è portato via anche tanto di buono, la cui mancanza oggi si sente e contribuisce a un senso di angoscia, solitudine e smarrimento per ciò che è stato e non è più. La figura materna, gli amori, gli amici persi, i luoghi, il Mucone, Padia, sono tanti raggi in questo immenso caleidoscopio di ricordi, i cui chiaroscuri ci restituiscono, in definitiva, anche un’immagine di noi stessi e di ciò che eravamo.

Curto è poeta di passione, di rabbia a volte, di vibrata e elegante protesta, di solitudine e tristezza. E’ poeta che canta il bello e il brutto della vita, commuovendosi per il primo e rammaricandosi per il secondo. Nulla è in lui artificio o pomposità – tratto riscontrabile in taluni contemporanei, con note di autoreferenzialità, da sempre abborrite da Francesco – ma, al contrario, in ogni verso si riscontra un amore genuino per il genere umano e un senso di pena per le miserie.  La vita “è un rosario di gioie e di dolore/ Le cose più belle/anche se poche/ sono quelle/che si depositano/sottovuoto/in fondo al cuore/per non ossidarle” (pag. 60) . E ancora … “La poesia/ è una gravidanza/ del cuore/Io partorisco spesso/ e gli aborti non li conto/Sono ormai/sulla via del ritorno/appesantito da un fardello/ di disfatte/ho mani vuote/ ma mi resta un sogno”.

Sta in questi versi, forse il senso e il messaggio più pieno che Curto intende lasciarci: tra le miserie e le disfatte, resiste sublime, ferreo, un sogno, che è insieme messaggio di speranza e di ottimismo. Non sterile pianto sulle brutture è la sua poesia  ma ardito e possente strumento di analisi e protesta e, al tempo stesso, messaggio di speranza e di fiducia nell’uomo nonostante tutto.

Meravigliosi, ancora, i versi in dialetto, dove si ritrova la scioltezza e la freschezza della lingua natia, che permette con immediatezza di collegarsi a quel mondo andato, rievocandone  la miseria ma soprattutto la bellezza. La nostalgia scivola e diviene testimonianza e al tempo stesso orgoglio di appartenenza e necessità di far pace con quel mondo come impeto assoluto dello spirito e bisogno di pace.

Massimo Conocchia

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