Michele Marchianò, “Il sol che del De Rada comprese il dir”

“Il cavaliere albanese dell’età nostra, che cavalca, raggiante di bellezza, verso una idea maestosa, la quale, lasciando di sé un’orma incancellabile, perennerassi ne’ secoli”, così viene definito e descritto, dal prof. Michele Marchianò (1860 – 1921), il vate di Macchia Albanese, in apertura del suo straordinario volume “L’Albania e l’opera di Girolamo De Rada” (V. Vecchi, Tipografo – Editore, Trani 1902).

Egli originario di Macchia Albanese, si laurea in Lettere e Filosofia nell’Università di Napoli. Docente di lettere classiche a Paola, a Maddaloni e poi a Foggia, dove dimora fino alla morte. Insegna anche albanese nell’Istituto Orientale di Napoli, nel periodo della I guerra Mondiale.

Nell’insegna toponomastica, posizionata nella sua abitazione, a pochi metri dalla casa natìa del poeta, c’è la significativa scritta: “il sol che del De Rada comprese il dir”.

Già nella fase preliminare dell’interessante libro, il prof. Marchianò esplicita le sue sensazioni sull’ attività letteraria di Girolamo De Rada (1814 – 1903), in particolare sulla patria, sulle sue traversie, sulla lingua. La patria, sogno delicato del suo spirito, che lo avvolge, tuttavia, nei suoi dolori e, in mezzo a intuizioni generali e a creazioni superbe, gli devia spesso il cammino e gli spezza l’onda del canto; le traversie, che arrivano subito dopo, gli tolgono costantemente la serenità dello spirito; la lingua sconosciuta quasi all’universo intero, e le sue crude traduzioni appaiono un incomprensibile enigma. E poi qualche preconcetto sui canti popolari albanesi che, modulati per un vasto poema, sembrano non idonei a modellare una poesia epica. Inoltre, il timore che questi poemi, nati nella solitudine di un villaggio e all’aria aperta dei campi, non possano reggere al successo, non avendo una adeguata divulgazione per essere conosciuti.

Tuttavia, la volontà del De Rada, al pari di quella degli uomini di genio, è inflessibile e non conosce mai resistenza. Il suo spirito lo attrae di continuo, con forza incosciente. E si mette a compiere il prodigio. E scrive, anzi, precisa, il prof. Marchianò: “come Gluk, egli componeva all’aria aperta, o al suono del cembalo, e, come gli ingegni superiori, la sua psiche era governata da quello che il Cabaneix e il Lombroso chiamano sub-incosciente, un medium che nei sogni gli suggerisce le creazioni e gli prediceva l’avvenire fatale …”.

In effetti, nella vita e nelle opere di quest’uomo tutto è straordinario!

Il poeta, inconsapevolmente, si ritrova ad avere molteplici punti in comune con le creature sovrane, come quello di idealità nell’arte, nella patria, nella scienza e nella fede. Egli dà vita spirituale ad un popolo, che illustra i rapporti di parentela tra il moderno albanese e la vetusta lingua pelasgica, che cerca consolazioni nelle cose immortali, nella natura e nel pensiero, perché “la fama sola si leva al cielo e le cose virtuose sono amiche a Dio …”.

Michele Marchianò, anticipando i tempi, senza incertezza alcuna, afferma che l’opera del De Rada è di una importanza straordinaria. E, in effetti, sia che essa si analizzi nel rispetto patriottico e poetico, o in quello scientifico e politico, l’azione poetica del poeta arbëresh avrà nel mondo moderno una ripercussione che, per ora, si perde nella lontananza dei tempi, e i suoi effetti appaiono visibili e fecondi. “L’opera sua patriottica – afferma il prof. Marchianò – è la rigenerazione di un popolo, cui esso, come per scossa elettrica, destò dalla propria inconsapevolezza, avviandolo al cammino, che segna il diritto delle genti”. E aggiunge, nella parte introduttiva del testo, che l’originalità e la potenza dell’opera poetica deradiana imprimerà una impronta che rimarrà imperitura. Così come la glottologia e la storia del linguaggio, in generale.

Per Michele Marchianò, l’idea nobile di contribuire, per quanto suo potere, “al rilevamento delle fortune della patria d’origine” attraverso la divulgazione di “una poesia nuova, fresca, scaturiente come polla sanante dalle vene e dai seni della natura” giustifica i suoi vent’anni di lenta e costante preparazione al servizio di una vasta attività letteraria che spazia in un campo di attività variegata, che comprende: poesia, grammatica, giornalismo. Ed anche aspetti e forme diverse che irradiano “il suo linguaggio duttile multiforme, spesso involuto e tenebroso e più spesso, quasi esagitato da una forma arcana e ascetica, che lo domina e lo soggioga”.

Le numerose opere si potrebbero classificare in due gruppi uno di contenuto albanese, l’altro quello ad esso estraneo. Il prof. Marchianò, vista la prevalenza delle prime, preferisce la ripartizione metodica e così raggruppa in tre sole trattazioni gli scritti politico – sociali, filologici e grammaticali. Alle opere poetiche dedica capitoli separati e distinti e a quelle filosofiche, politiche, scolastiche e storiche, anche un esame a parte. Scopo della sua azione: far conoscere l’opera e l’azione che essa ha esercitato e seguiterà ad esercitare sull’Albania e sulla politica albanese d’Italia e d’Europa.

Aver pubblicato questo libro, meditato fin dai tempi giovanili, significa per l’autore aver reso un servizio all’ingegno e all’umanità: “le sole due cose – precisa – veramente vive e vivificanti, in cui palpita e vibra l’alma del mondo”. E poi, quasi per giustificarsi, scrive: “né mi si accusi di pretenziosa grandezza o di audacia da superuomo, poiché da una parte giganteggia un genio misconosciuto, cui non ancora illustra il sole della gloria; e dall’altra giacciono le magnifiche rovine di un popolo, cui, per conciliar simpatia, basterebbe solo il titolo di essere, presentemente, il più vetusto popolo della terra”. E aggiunge, per dare più significato al suo impegno, che “oggi soppressa ogni generosa finalità, grava su di noi, quello che P. Ellero nel suo libro chiama l’eclissi degli ideali e io sento in me imperiosa una forza di lumeggiare un uomo, la cui vita e le cui opere sono uno de’ documenti più autentici e sicuri dell’idealismo”.

Un’azione franca, quella del prof. Marchianò nella disamina delle opere, non perché si senta legato a vincoli di sangue e di lunga e ininterrotta amicizia con il De Rada… Solamente un desiderio immenso a far conoscere una produzione letteraria che ha i suoi diritti, così come l’arte, la letteratura e la scienza hanno le loro ragione.

“Né all’autore arrecherebbe durevole vantaggio la lode mentita”, precisa. “Dall’altro canto imparo da lui stesso che non è da uomo probo ed onesto non dire il vero che Iddio mi parla nel seno”. (Autobiologia, cap, IV, pag. 22).

Per Michele Marchianò le opere del De Rada sono frammenti di un cuore umano. E suggerisce che dei poemi si poterebbe dire quel che delle sue poesie diceva la poetessa cinese Ly-y-Hane: “sul velo della mia veste io ho conservato le mie lacrime: ma l’esame, a cui io li assoggetterò non è una dissezione anatomica alla moderna: io, col cuore raccogliendo da diverse parti – le reliquie ne vo’ che erano sparte, e ne compongo, anche col cuore, un’armonica collana, segnando le asperità e comprimendo le vive fibrille, spesso abnormi, che forse daranno qualche gemito e qualche lamento”.

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Il volume l’Albania e l’opera di Girolamo De Rada scritto da Michele Marchianò di 400 pagine, si apre con una vasta introduzione dello stesso autore, prosegue con una ventina di pagine sulla vita del poeta e continua con l’elencazione e l’analisi delle seguenti opere: L’Odisse – Il Milosao – Serafina Thopia – L’Albania – Lo Skanderbeg – La Caduta della Reggia d’Albania – Lo Specchio dell’ Umano Transito – Sofonisba – Le Rapsodie – I Principii d’Estetica – Gli Stati Rappresentativi – Fjamuri Arbërit – L’Autobiologia – L’Antologia. Fra le pagine del libro anche contributi Su: Caratteri de’ poemi; Lingua; Versificazione; I poemi e la critica; Scritti filologici; Scritti grammaticali; Girolamo De Rada e il risorgimento dell’Albania.

Gennaro De Cicco

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