La mia Calabria: Renaissance (quarta e ultima parte)
La troupe della Philadelphia Caiaro Productions si trova al Museo nazionale di Reggio Calabria per pubblicizzare i Bronzi di Riace, rinvenuti nel 1972 nelle acque al largo di Riace.
Nel frattempo che il Direttore del Museo prepara con gli addetti alla sicurezza la location al livello D, dove si trovano le due statue bronzee del V. sec. a. C., Robert e gli altri si rilassano approfittando dell’estate di San Martino.
Malgrado sia metà novembre, il tempo è splendido: diciannove gradi, fioriture di oleandri dappertutto, cielo terso.
Robert se ne va in giro attorno al Museo con l’aria stanca. Questo lavoro inizia a non piacergli più, sempre fuori casa, sempre a dieta, vorrebbe una vita più tranquilla e spensierata. Mani in tasca e occhi inquieti. Sul viso un’infinita malinconia.
Pensa a suo padre Silvio, al tempo delle lacrime, mai arrivato, mai vissuto, ed ora dopo tanti anni si sente il cuore gonfio di dolore, talmente gonfio che gli leva l’aria, respira pesantemente come se avesse fatto due rampe di scale, si allarga il colletto della camicia, tossisce.
Gli torna in mente l’ultimo Natale trascorso assieme nel 2015.
In quell’anno, suo padre, come da tradizione di famiglia, aveva allestito in mansarda un grande presepe e si divertiva a spiegare ai nipoti non solo il senso della natività, quanto il significato dei luoghi e dei pastorelli di ceramica, che occupavano una precisa posizione, come i dodici venditori di cibo, allegoria dei dodici mesi dell’anno.
In particolare accarezzando la manina delicata di Isabella, figlia di Robert, di appena quattro anni, la istruiva sul tempo giusto in cui doveva adagiare il Bambinello Gesù al centro della Grotta, spiegandole che non doveva addormentarsi per aggiungerlo al presepe alla mezzanotte precisa.
Suo padre era un uomo eccezionale: positivo, dolce, disponibile, generoso, pronto a spendersi sempre per gli altri, capace di mettere d’accordo tutti in ogni situazione e questo gli riusciva in maniera naturale senza strategie o fatica, senza mai imporre il suo punto di vista perché era proprio nella sua indole.
L’indole dei giusti.
Il ricordo gli riempie l’anima di un sentimento di nostalgia.
Cosa non darebbe per tornare indietro a quel Natale, vederlo pieno di forza e vita, sentire ancora la sua risata bonaria, e scherzare con lui sull’abbigliamento, mentre i bambini saltellano sul divano bianco di velluto, sua sorella Antonella suona al piano Happy Christmas (war is over) dei Pooh, in attesa che la madre porti in tavola le dodici portate della tradizione, in primis le linguine alle vongole e le trigliette al pomodoro, tanto amate da suo padre.
Con tutte quelle spine le mangiava solo lui.
Oramai è tutto così lontano, perduto per sempre e irrimediabilmente, la felicità dura proprio un attimo, maledizione, si dice, mentre gioca con le chiavi in tasca.
Passa davanti a una trattoria, Pipi e maccarruni, sente il ticchettio delle forchette, un profumo delizioso di peperoni arrostiti gli solletica il palato, le narici, sente quasi il sapore in bocca.
Si avvicina, sbircia dentro e riconosce Francis.
Entra e raggiunge il regista al tavolo.
“Three Ef what are you doing in the restaurant at this time?”
“I need to eat i can’t survive with oxygen alon. Please seat and we can order today’s dish linguine with sea urchins.”
Si siede, rassegnato a curare le sue ferite col cibo, come ieri, come l’altro ieri, come sempre.
La moglie Margherita intanto passeggia sul Lungomare Falcomatà ammirando i palazzi in stile Liberty del primo Novecento e le tre originali sculture di Rabarama. Ogni tanto si ferma per scattare qualche foto cinguettando in bolognese con un gruppo di professori e studenti intenti a sistemare delle aiuole con le piante spontanee, regalate dall’orto botanico di Messina. Stanno mettendo a dimora tre specie: il Giglio di mare, la Vedovina delle scogliere, la Salvia incisa. Pone domande, ascolta, osserva curiosa le piantine, ne prende qualcuna in mano. Che tipa! Non ha mai perso la voglia di approfondire, imparare, fare nuove conoscenze.
Intanto Bernardina e Gioacchino si stanno arricriando su una panchina gustando una coppetta di gelato artigianale comprato da Cesare.
“Bernardì che panorama eh? Lo Stretto ai nostri piedi, i monti Peloritani, l’Etna, uno degli scorci più belli del mondo davanti ai nostri occhi. Che spettacolo! Chi se lo immaginava che proprio noi due alla nostra età potevamo girare un film? Ma tu ci pensi ca su guagliunu e Robert ni fa canusciari pure ‘ntra Merica, a Merica ranna, mica a pittirilla. A faccia nostra trasi alla televisione a Philadelphia, Boston, Nuova York. Proprio nu bravu guagliunu su Robert. Ma tu u sienti su cavudu? Chi cavudu!”
“Gioacchì ma stamatina t’ha misu i mutandoni e lana?”
“E certu ca sì, mi spagnava ca facìa friddu cu li correnti e du Strittu…”
“Gioacchì cuntami e Scilla e Cariddi…”
Aurora Luzzi