I serpenti succhiano il latte?

Si credeva, un tempo, che i serpenti succhiassero il latte dalle mammelle delle mamme e che, perciò, il bambino deperisse giorno per giorno, diventando rachitico.

Va tenuto presente che, un tempo, le case, generalmente monolocali, erano facili ad essere invase da topi, serpenti e altri animali, che passavano attraverso i tanti buchi esistenti in più punti.

Si raccontava che i serpenti entrassero di notte nelle misere abitazioni.

Mentre le mamme dormivano, con accanto il figlioletto, i temuti serpenti succhiavano il latte dalla mammella e, a evitare che il piccolo vagisse e le svegliasse gli ponevano la coda in bocca, come tettarella.

Era necessario, perciò, accorgersi dell’intrusione. Si aveva cura, allora, di porre una riga di cenere sulla parte interna del davanzale dell’unica fenestrella e lungo la soglia della porta. Se il serpente malefico vi fosse passato sopra se ne sarebbe rilevata la traccia, per avvenuta interruzione.

I pastori, da parte loro, sostenevano che vi fosse un serpente capace di succhiare il latte dalle mammelle dei loro animali, particolarmente da quelle delle vacche. Lo denominavano ‘Mpastura vacchi (impastoia vacche), perché, come raccontavano, questo serpente si attaccava alle gambe delle bestie e, delicatamente, eseguiva l’operazione anzidetta.

– Qual è la denominazione in italiano di tale serpente? -, vi chiederete?

È il cervone. È lungo circa un metro e mezzo. Ha dorso color grigio fulvo con quattro file di macchie nere. La parte che striscia ha colore bruno con piccole macchie nere. Vive in luoghi asciutti. È facile ad addomesticarsi, ritenendolo portafortuna.

Giuseppe Genè che confuta la credenza scrive: “cominciamo dal negare che i serpenti amino ed appetiscano il latte a ciò indotti dal risultamento di molte e molte prove da noi fatte con ogni possibile diligenza”.

Il citato autore stabilito, per aver effettuato esperimenti, che il serpente non è ghiotto di latte come si asserisce, precisa, ancora: “Le bisce, siccome animali che traspirano pochissimo, sentono rarissimamente e debolmente la sete; è dunque improbabile che spingansi a quell’atto per dissetarsi. Se invece lo fanno per soddisfare la fame avranno piuttosto il capezzolo di mira che non il latte che vi si contiene”.

V’è dell’altro, però, secondo il citato autore.

A questi animali è impossibile il poppare: “che l’azione del poppare sia fisicamente impossibile ai serpenti, lo dimostrano la struttura generale delle parti della bocca e il modo e le vie della respirazione. Il vuoto non può farsi nella cavità della bocca di questi animali per la mancanza di labbra carnose, per la soverchia brevità del tragitto delle nari, pel difetto di un velo al palato e per quello di una epiglottide sull’ingresso della trachea. I denti poi essendo curvati, a punta acuta, e rivolti all’indietro fanno bensì e molto utilmente, l’ufficio d’uncini per rattenere la preda vivente, ma nell’azione del poppare, aderirebbero sì fortemente al capezzolo della vacca e tanto vi penetrerebbero da non essere più in balia del serpente medesimo il distaccarsene”.

Le madri, perciò, avrebbero dovuto ricercare la causa del rachitismo dei loro figli in qualcos’altro e i vaccari avrebbero dovuto capire che quel serpente cercava altro e non il latte.

Le convinzioni, ripetute e trasmesse dagli anziani, però, difficilmente si potevano smentire e pochi erano in grado di legge e difficilissimo era il poter consultare il raro saggio del Genè.

Ancora oggi, perciò, qualche anziano/a continua a raccontare quanto si è riportato e smentito.

Giuseppe Abbruzzo

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