25 novembre

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne è una giornata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999 e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare in quel giorno iniziative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della nonviolenza contro le donne. Nella risoluzione delle Nazioni Unite per violenza si intende: “qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata”.  Ogni tipo di violenza che si manifesta, come si legge nella risoluzione nelle “relazioni di potere storicamente ineguali” fra i sessi, uno dei “meccanismi sociali cruciali” di dominio e discriminazione con cui le donne vengono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini per impedirne il loro avanzamento. Sono passati 24 anni, la violenza non è diminuita, in alcuni paesi del mondo è addirittura istituzionalizzata, il grido “Donna, Vita, Libertà” delle donne iraniane, ne è testimonianza. Un grido divenuto globale e resistente, nonostante le manganellate, gli stupri e la morte.  Oggi in tutta Italia si urlerà, si farà rumore, troppo il dolore, la rabbia e il desiderio di testimoniare. In tutte le scuole d’Italia le ragazze prendono voce, parlano ai loro amici, fidanzati e compagni, li interrogano, pongono domande.  Un protagonismo femminile che porta speranza, lasciamole urlare, per tutte quelle che non potranno più farlo e che urlando di notte in un parcheggio non sono state ascoltate e che hanno trovato la morte. Centinaia di assassini, ex amori, centinaia di uomini che danno la morte come atto estremo verso donne che vogliono sottrarsi al loro controllo. Lasciamole urlare le ragazze, per strade, nelle piazze. Anche ad Acri oggi molte ragazze parleranno, molte donne prenderanno voce, ascoltiamole.  Il governo farà poco, non ha il coraggio, troppo intriso di cultura patriarcale, dobbiamo agire nel privato, nelle nostre famiglie, nelle cerchie delle amicizie, urlare la rabbia e il desiderio di essere libere, come Giulia, che semplicemente voleva essere libera dal controllo del suo assassino.

Anche nel mio lavoro universitario le studentesse e gli studenti hanno sollecitato un incontro in aula per parlare di violenza di genere, di violenza sulle donne. Il 21 Novembre abbiamo insieme letto due articoli usciti sul quotidiano la Repubblica, il primo https://www.repubblica.it/cronaca/2023/11/19/news/possessivita_relazione_tossica_segnali-420778946/ dello psichiatra Vittorio Linciardi dal titolo “Lingiardi: “Manie di controllo e sopraffazione. Così deve scattare l’allarme”, il secondo articolo https://www.repubblica.it/cronaca/2023/11/21/news/patriarcato_uomini_francesco_piccolo_uomo_preistorico-420856454/ dello scrittore Francesco Piccolo dal titolo “Non esistono i maschi progressisti”. Due contributi anche provocatori, che mettono al centro le fragilità del maschile contemporaneo. La lettura in aula dei due articoli ha provocato molta partecipazione. Hanno preso la parola molti tra studentesse e studenti che, in prima persona, hanno raccontato micro-episodi di quella che il sociologo Pierre Bourdieu avrebbe definito come “violenza simbolica”. Piccole e potenti storie di vita quotidiana narrate in prima persona a testimonianza della rilevanza sociale e culturale del tema della sopraffazione e del pregiudizio di genere. Le narrazioni sono state fatte in modo maturo, consapevole, nel silenzio partecipato e commosso dell’aula che è diventata uno spazio pubblico condiviso. Dopo questo primo momento di narrazione e riflessione collettiva l’aula ha organizzato una piccola performance nello spazio aperto del cortile della Facoltà. Si è scelto di utilizzare la poesia “il canto delle donne” di Alda Merini, una poesia di denuncia e di amore per le donne vittime di violenza. 14 coppie di studenti e studentesse hanno letto le varie strofe della poesia, in un coro che era anche una testimonianza di rabbia e di amore collettiva e personale. Tutto si è concluso con minuti di rumore, così come richiesto dalla sorella della vittima, Elena Cecchetin. 

Facciamo rumore, non solo oggi!

Assunta Viteritti

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