Aurora Luzzi: ancora un ricordo…
Possiamo dimenticarla la scrittrice calabrese di Acri a distanza di qualche anno dalla sua drammatica morte? Certamente che no! Sarebbe come dimenticare un frammento del nostro “Io” reale, senza il quale perderemmo il senso della nostra unicità, del nostro essere integrale, contrapposto al dolore ordinario di una frammentazione priva di consapevolezza, in quanto sacrificato sull’altare della cultura di massa del narcisismo.
Aurora è parte di noi genti del sud, un frammento in più che si aggiunge a quella amalgama di elementi che chiamiamo “Io” e che il suo pensiero e la sua scrittura hanno aiutato a far crescere in complessità, perché complessa è l’esistenza di chi ha scelto di rimanere o di ritornare in questa parte d’Italia, tanto amata quanto odiata.
Come si può dimenticare “Bella ciao e altre storie”, racconto di mariti, mogli, amanti, uomini soli, donne in attesa, figli delusi, dipinti nella loro vita di ogni giorno, attraverso la fatica del vivere, l’ingiustizia del caso, l’assenza, la malattia. Nessuno ha certezze, nessuno ha risposte. L’unica consolazione è il sogno, una scatola di fotografie, la bellezza delle ginestre, una bandiera tricolore al vento, l’emozione di una vecchia canzone di Don Backy. “La felicità è per tutti un filo di seta”, la sua metafora più bella. Aurora, nell’apparente scrivere su una realtà che non ha i caratteri dell’universalità, in realtà dimostra esattamente, con la sua scrittura, che non esistono latitudini letterarie. L’arte letteraria è una sola e non ha latitudini se il racconto, che parte sempre dalla percezione della realtà materiale, poi si intreccia con la grammatica dell’immaginazione. È l’immaginazione la vera forza creativa che anima una narrazione universale, perché comprensibile a tutti. Aurora, nella sua breve carriera di scrittrice, dimostrò di avere una creatività straordinaria e di essere dotata di una idiosincrasia mentale fuori del comune. Perdonatemi il termine medico utilizzato ma non c’è termine più azzeccato per far capire a chi non si è ancora avvicinato alle sue opere letterarie questa reazione allergica di una mente fertile che percepisce e reagisce nella immediatezza del percetto. Nulla sfugge alla raffinata e sensibile descrizione dei personaggi nei suoi racconti brevi. Aurora si lascia affondare nei dettagli dolorosi, drammatici, evocativi, gioiosi, umoristici e convenzionali delle vite al centro della sua narrazione, per poi farli emergere e cogliere dall’intelligenza del lettore. In un’altro secolo, in un’altra latitudine e in circostanze di vita assolutamente diverse, un genio della letteratura mondiale, Virginia Woolf, a dispetto di una fragilità emozionale che sarà la causa della sua drammatica morte, trovò sempre la forza per denunciare, attraverso la sua intera opera, la condizione di subalternità della donna, le ipocrite convenzioni sociali e infine ad evidenziare la sua inesauribile passione per la scrittura breve in forma epistolare. Un giorno disse che la cosa più noiosa da morto sarebbe stata una tomba senza più lettere da scrivere.
Forse vi starete domandando il perché di questo accostamento tra queste due donne così lontane ma così vicine. La risposta è semplice! Aurora é sempre stata una donna coraggiosa, forte, anticonvenzionale, controcorrente, empatica, capace di indugiare nei sentimenti ma senza mai scadere nel sentimentalismo. É in “Nemesi d’Aprile” che si apprezzano i tratti distintivi dell’essere virilmente donna, per dirla nel lessico tanto caro all’inglese Virginia Woolf. Nel primo romanzo di Aurora Luzzi “Virginia e Viola”, le due protagoniste, non si conoscono ma si trovano a dividere un drammatico destino. Rapite e abbandonate su di un’isola deserta, stringono un forte rapporto empatico per far fronte all’aggressione. Quando apparirà sull’isola, il rapitore confermerà le tragiche ipotesi delle due donne che all’ennesimo colpo della vita opporranno una rabbia dura e ribelle. “Nemesi d’aprile” è la storia di un’amicizia inossidabile nata da un dramma, in cui si intrecciano anche le vicissitudini di un lettore e di una lettrice, pronti a seguire le due protagoniste in una lotta per la sopravvivenza fisica e del proprio essere donna. É in quest’opera che Aurora sembra recepire con grande naturalezza la lezione di stile di Virginia Woolf. Quest’ultima ricercò sempre quelle opere in cui “lo scrittore utilizzava entrambi gli emisferi della mente (il maschile e il femminile) nella stessa misura”. L’androginia era lo stato mentale ideale, e l’ideale condizione per la scrittura, così come la Wollf ci spiega in “Una stanza tutta per sé”. É un grido di esortazione, rivolta a tutte le donne, a lottare per la propria libertà, a seguire la propria vocazione, a diventare, finalmente, ciò che nel loro intimo già sono. E questo messaggio è lo stesso che un secolo dopo ripeterá la nostra Aurora nel suo romanzo. D’altronde, sempre con le parole della Woolf, e certamente con l’esempio di vita della Luzzi, “sarebbe disastroso essere semplicemente un uomo o una donna; occorre essere virilmente-donna o femminilmente-uomo. Un matrimonio di opposti va consumato per realizzare un “Io” reale integrale, non scisso, viatico necessario se si vuole vivere una vita vera. Quella di Aurora Luzzi, benché breve, certamente lo fu. Lo testimonia il suo secondo libro, “Intermittenze d’amore”, opera che nacque con grande coraggio e dignità in un momento di grande fragilità legata alla sua drammatica malattia. Lo dedicò a tutte le donne che incontrò in Ginecologia chemioterapica”, donne strappate alla loro vita. Donne non tutelate in maniera sufficiente dalla legislazione. “Diventa un grande problema anche andare in ospedale per la cura, se non hai nessuno che ti può accompagnare”, sono le sue parole testuali, il suo grido di dolore che squarciò l’aria ma non il muro di indifferenza delle istituzioni e della cosiddetta società civile.
Ciononostante, a fronte di una malasanità che ne sud del Paese ha raggiunto vette di vergognosa tragicità, Aurora Luzzi non pensó mai di ritornare a Milano, città in cui aveva lavorato come bibliotecaria dell’università, per accedere ad una sanità più efficiente. Ecco un altro fulgido esempio di co-presenza tra femminile e maschile in Aurora. La scelta di rimanere a curarsi nella disastrata sanità pubblica calabrese per un moto eroico di solidarietà femminile nei confronti di altre donne affette dal male incurabile e poi l’elemento maschile, linguisticamente parlando, che vuole dare voce a tutte le donne che per percorsi di vita non ne hanno mai avuta una, se non quella per interposta persona del patriarca che vede, provvede, anestetizzando la consapevolezza e mutilando la volontà.
Cara Aurora, per tutto quello che hai rappresentato in vita non ti dimenticheremo mai.
Giovanni Milella Gentile