Per quei “quarti di nobiltà”!

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Tempo fa, su questo sito, ho scritto della disavventura di Carlo Calà da Castrovillari che, fatta carriera in campo giuridico e raggiunta la solidità finanziaria, era afflitto per non avere un’ascendenza degna di tanto alto rango.

Come si ricorderà, finì sotto le grinfie di un maneggione che, creati documenti falsi, che sparse per archivi e biblioteche, gli creò quanto cercava e gli spillò non pochi quattrini.

C’è chi è torturato dalla sindrome Calà.

Ricordate la satira di Biagio Autieri a quel tale che si era comprata la baronia di S. Maurizio e Lazzaro?

A proposito di questa voglia di ascendenze nobili si narra che papa Leone XIII (1810-1893), al secolo Vincenzo Gioacchino Pecci, avesse un nipote molto ambizioso e con voglia sfrenata di crearsi una certa nobiltà. In breve voleva essere creato Cavaliere di Malta.

Per assurgere a tanto, però, “occorrono – come scrive un autore – sedici quarti di nobiltà e l’aspirante non ne aveva che quattordici”.

L’interrogativo, che lo tormentava, perciò, era: – Come ovviare a tanto? –

Pensa e ripensa, si convinse che solo suo zio papa avrebbe potuto dispensarlo di quei due quarti mancanti, ma così necessari, per raggiungere la “creazione” suddetta.

Ecco cosa fece: richiese l’intervento di un prelato, che era in strettissimi rapporti col pontefice.

Quest’ultimo ascoltò con attenzione la richiesta e, poi, disse: – Se al giovane gli mancano solo due quarti, potrebbe aggiungervi le due ruote paterne -.

Il riferimento era al padre del giovane tanto desideroso di aspirare al detto cavalierato.

Il papa sapeva molto bene che quel padre esercitava, infatti, il mestiere di carrettiere.

Come il giovane prese quella risposta non ci è dato sapere.

La “storia nobiliare” riportata è, comunque, eloquente.

D’altra parte, Leone XIII doveva avere particolare avversione per chi aveva quelle manie nobiliari. Si racconta, infatti, che un rappresentante di una piccola repubblica americana, accreditato presso la Santa Sede ambiva sempre di fregiarsi di decorazioni, delle quali aveva pieno il petto. Il pontefice infastidito, ma non volendo essere scortese, in una occasione gli fece regalare una tabacchiera d’oro col suo ritratto.

La sua meraviglia fu quando vide il funzionario, che aveva staccato quel ritratto e se l’era appeso al collo.

Omettiamo il resto e concludiamo, con la certezza di interpretare il pensiero dei lettori, che la nobiltà non viene da notabili ascendenze, ma da un fare nobile e dalle azioni ammirevoli, degne di nota e a vantaggio non della propria persona, ma della comunità.

I nostri antenati, difronte agli affanni, per crearsi la nobiltà fittizia, dicevano: – Teni la nobiltà e Crùozzu! -.

Non sappiamo chi fosse questo signore, né interesserà saperlo ai Lettori, ma quello che traspare è il sarcasmo.

Giuseppe Abbruzzo

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