1863 – Le prebende d’oro!?…

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Gli stipendi e gli appannaggi d’oro, percepiti ai tempi nostri erano già stati inventati appena dopo l’Unità d’Italia.

È proprio vero, D’Azeglio sosteneva che bisognava fare gli Italiani, ma non aveva capito che gli Italiani erano belli e fatti!

Sul n. 1 de La Campana del Popolo di Napoli, di lunedì 21 ottobre 1863, nella rubrica Suonata a martello, si legge una nota dal titolo: Una famiglia fortunata.

Si penserà: – Avrà vinto un terno al lotto -. Non era così, ma era come se quel terno abbastanza ricco lo avesse vinto. Che dire: – L’Unità d’Italia gli aveva portato fortuna! -.

Cediamo la penna, si fa per dire, al redattore di quel giornale:

“Se la virtude eccede, in vizio la virtù cangiar si vede – N’è stato giocoforza il ripetere questi versi del poeta Cesareo, pensando al pleonasmo di gratitudine nel quale è incorso il nostro governo con la famiglia Trinchera di Ostuni.

Questa famiglia come potete vedere, è stata soffogata, schiacciata, oppressa, sepolta da’ soverchi impieghi.

Francesco Trinchera (ad evitar confusione di nomi chiameremo questo signore Francesco Primo) è sopraintendente degli archivii ed ha cencinquanta ducati al mese. Oltre a ciò è cattedratico emerito di economia politica in Bologna, ora proposto per Napoli, rimanendo così trascurato Flaviano Poulet.

Pietro Trinchera – È procuratore diocesano e becca a libito.

Giuseppe Trinchera – È ispettore delle scuole in Brindisi ed anch’esso pappa – È inoltre canonico.

Angelo Trinchera – È delegato di polizia in Taranto, e mangia.

Luigi Trinchera – È giudice in Castellammare e mangia e beve.

Beniamino Trinchera – Occupa un grado cospicuo nel genio civile, e pappa.

Oronzo Luigi Trinchera – È ufficiale nel dicastero di agricoltura e commercio e sta benissimo.

Francesco Trinchera (Ad evitar ogni confusione appelleremo quest’altro Francesco: Francesco secondo) È impiegato anch’esso al dicastero di agricoltura e commercio.

Viva la cuccagna!”.

Che colpa avevano se tutti i suddetti appartenevano alla stessa famiglia? Non poteva sapere quel redattore quanto significasse ai nostri tempi essere parente di, figlio di, nipote di, amico degli amici di. – Il mondo – diceva uno di questi – è andato sempre così… -. È vero, ma una buona volta si potrebbe correggere e fare in modo che il mondo andasse nel verso giusto?!

Allora, come dicono alcuni, le cose si facevano per bene. Infatti!… Vediamo come si facevano:

“La furia dell’accentramento ha fatto dei ministeri di Torino una Torre di Babelle. La confusione delle lingue è completa. Tra i mille fatti, per non iscandalizzare il prossimo, ne racconteremo uno o due. Alla sezione della suddetta Torre di Babelle, detta di agricoltura e commercio bisognavano dieci impiegati da far fronte agl’intralciati affari. Si scrisse di là al soppresso dicastero di Napoli: mandateci Tizio, Caio, Sembronio, Mevio e via fino a dieci che erano stati scelti. Da Napoli si scrisse essere pronti quei tali impiegati e che disponessero le indennità di viaggio perché subito sarebbero partiti. Al bel meglio, in risposta arriva in Napoli una dicasteriale in cui si domandava il nome di quei dieci impiegati che volevano partire!!!

Un secondo caso più degno di riso è quello avvenuto al governatore di Basilicata. Da Torino furono invitati alcuni impiegati di quel governo. Si rispose esser quelli contentissimi di andare nella provvisoria capitale d’Italia se si dassero loro le indennità di viaggio, giusta il decreto sovrano. In risposta, con una dicasteriale si diceva: Avete male inteso il decreto; esso concede le indennità agl’impiegati che da Torino si mandano nelle province meridionali, e non già a quelli che da queste si traslocano a Torino!!!”.

Ovviamente sono tutte cose che si verificavano allora. Ora è tutto chiaro, lampante, preciso e non si fanno certe porcate! O no?… Fate un po’ voi.                                     

Giuseppe Abbruzzo

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