Il fascismo ha fatto anche cose buone?
Resiste nel nostro Paese una certa ricostruzione mitologica del ventennio, che tende a romanzare un periodo tra i più bui della nostra storia, facendolo apparire come una sorta di nuova età dell’oro, fatta di lavoratori indefessi, ordine, mancanza di scioperi e rivolte, attenzione alle masse. Si tratta, in realtà, di falsità accreditate da frange nostalgiche e da una certa tentazione autoritaria che ha sempre serpeggiato in Italia. Il Duce lasciava accesa la luce del suo studio a Palazzo Venezia per alimentare la tesi che lavorasse anche di notte per gli italiani. Quanto alle agitazioni, va da sé che un regime autoritario e repressivo ha, per sua natura, la possibilità di soffocare sul nascere con la forza ogni tentativo di rivolta. Quanto al benessere delle masse, la realtà racconta di fame, disperazione e sfruttamento da parte del regime di quel poco di cui si disponeva (“Oro e rame per la Patria!”). I gerarchi gestivano l’ammasso a proprio piacimento e in maniera ovviamente strabica e personalistica.
Una cosa, dunque, è la verità storica ormai accreditata, altra cosa sono i falsi miti che si autoalimentano, specie in periodi di crisi del sistema, quale, in parte, è quello presente. Non crediamo che ci siano oggi in Italia, le condizioni per un ritorno del fascismo nel senso classico del termine (saluto romano; camicie nere, squadrismo). Tuttavia, il rischio di una deriva autoritaria, riteniamo, sia tutt’altro che marginale e per varie motivazioni. Anzitutto , la particolare debolezza del nostro assetto politico. Il gap tra la politica e la gente si accentua sempre più e la prima viene percepita dalla seconda come una casta, ossia una categoria che gode di privilegi ingiustificati e si finisce per identificarvisi sempre meno. Le misure di ammortizzazione sociale sono state progressivamente erose con il rischio che la precarietà delle condizioni di vita contribuiscano a alimentare insofferenza e malessere. La pessima gestione della questione migranti rischia di fomentare odio verso chi viene da fuori e alimentare a dismisura nazionalismi e intolleranza. In definitiva, riteniamo che alcuni elementi da attenzionare maggiormente ci siano, a cominciare dal disagio sociale dei ceti meno abbienti. Contestualmente, occorrerebbe ridurre il più possibile i privilegi nei confronti di ristrette oligarchie per non alimentare pericolose disparità. In una parola, l’esatto contrario della politica portata avanti dalla destra. Non intervenire con misure di ammortizzazione sociale e di welfare significa accentuare il divario sociale e con esso l’odio. Mostrare il pugno duro verso i disperati non solo non serve – e lo dimostra la disastrosa gestione degli sbarchi, ben diversa dai proclami di un anno fa – ma può risultare estremante pericolosa. Il capitalismo ha conosciuto varie declinazioni, quelle recenti e le prossime – in parte per il ruolo che assumerà l’intelligenza artificiale – rischiano di prevedere sempre meno manodopera con un conseguente rischio di un aumento di precarietà e disoccupazione. Da una parte l’erosine del welfare, dall’altra un nuovo e diverso assetto capitalistico con aumento della disoccupazione, rischiano di rappresentare una miscela esplosiva. Il capitalismo attualmente non ha rivali mentre l’ideologia socialdemocratica in tutta Europa è fortemente in crisi e negli Stati Uniti non è mai arrivata. Nuovo assetto capitalistico e crisi della socialdemocrazia sono due elementi che, uniti, rischiano di potenziare l’impatto, già grave, della crisi sociale e la sua portata in termini di instabilità. Non è possibile immaginare il ritorno a una società precapitalistica. Se il sistema non si occuperà di ripianare le enormi disparità sociali che genera, creerà, comunque, le premesse per una società e un sistema meno sicuri, quindi lo stesso assetto capitalistico sarà messo a rischio dalla crescente instabilità sociale. Non capire questo o, peggio, alimentare disparità e disuguaglianze è la premessa per un mondo meno giusto e meno sicuro.
Massimo Conocchia