Salario minimo sì. Salario minimo no
In vista della nuova legge di bilancio, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, l’11 agosto del 2023, ha richiesto al CNEL, il Consiglio Nazionale del Lavoro – organo costituzionale che, ai sensi dell’art. 99 della Costituzione, svolge tra gli altri compiti di “consulenza delle Camere e del Governo” e contribuisce “alla elaborazione della legislazione economica e sociale” – la predisposizione di un documento di osservazioni e proposte in materia di salario minimo.
Sul punto, è stata presentata il 4 luglio 2023 alla Camera dei Deputati, la proposta di legge per l’istituzione del salario minimo, a firma di tutte le opposizioni, PD, Movimento 5 Stelle, Avs Azione e + Europa, con la sola eccezione di Italia Viva, che mira a garantire, per i lavoratori, un trattamento economico minimo orario (TEM) di 9 euro l’ora e un Trattamento economico complessivo adeguato ai contratti collettivi stipulati dai sindacati più rappresentativi (TEC).
Visibile è la complessità del tema, che rischia di non tenere in debita considerazione gli elementi ed i dati indispensabili, ed allo stato attuale mancanti, sull’impatto che potrebbe avere l’introduzione del salario minimo per legge sul sistema economico e produttivo, sulla finanza pubblica, su possibili effetti sui singoli lavoratori e sulle dinamiche complessive sul mercato del lavoro (disoccupazione, tassi di occupazione, ecc.)
Sia chiaro.
Il diritto ad una giusta retribuzione è sacro ed è garantito dalla nostra Costituzione all’art. 36, che stabilisce che ogni “lavoratore ha il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla propria famiglia un’esistente libera e dignitosa”.
La giusta retribuzione, per la nostra Carta Costituzionale, è strumento di libertà e di vita dignitosa.
Chi si occupa di diritto del lavoro, sa bene quanto questo principiosia utilizzato dai giudici per riconoscere ai lavoratori retribuzioni superiori a quello stabiliti dai singoli contratti e persino dai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro.
Sulla questione, però, si rischia un’estrema polarizzazione del dibattito pubblico ed un confronto politico tra favorevoli e contrari ad un intervento legislativo, che non tiene conto delle diverse e complesse variabili in campo.
Anni ed anni di discussione, politica e scientifica, hanno prodotto poco e non sono stati in grado di delineare con la dovuta precisione tutti gli aspetti del problema e trovare sicuri punti di convergenza.
I favorevoli all’introduzione del salario minimo, in sostanza, prendono le mosse da quanto stabilito Direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022 relativa a salari minimi adeguati nell’Unione europea, che deve essere trasposta nel nostro ordinamento giuridico entro il 15 novembre 2024.
Secondo i proponenti, l’introduzione dalla paga minima oraria, in applicazione della Direttiva, eliminerebbe il rischio dei contratti collettivi c.d. pirata, ossia di quegli accordi stipulati da soggetti con scarsa forza rappresentativa, che determinano fenomeni distorsivi della concorrenza.
Altre concause sono individuate nella frammentazione dei settori, nella proliferazione di forme di lavoro atipico, nel massiccio ricorso alle esternalizzazioni, che minerebbero alla radice il diritto alla retribuzione sufficiente.
I sostenitori della diversa tesi ritengono, invece, tra le altre ragioni, che la quasi totalità dei lavoratori italiani sia coperta da contratti in applicazione dei CCNL stipulati dalle forze sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale, che garantiscono una corretta retribuzione, e che stabilire per legge un salario minimo porterebbe ad uno schiacciamento salariale al ribasso dei salari medi.
Quel che sia la decisione politica in merito all’introduzione o meno nel nostro ordinamento giuridico di un salario minimo fissato per legge, è un problema che non mi pongo.
Rilevo, però, come la Direttiva (UE) 2022/2041, non imponga agli Stati di adottare per legge il salario minimo adeguato e neppure di stabilire un meccanismo vincolante per l’efficacia generalizzata dei contratti collettivi.
Diversamente, lascia trasparire una preferenza di fondo per la soluzione contrattuale rispetto a quella legislativa, ritenendo che una contrattazione collettiva solida e ben funzionante, unita a un’elevata copertura dei contratti collettivi settoriali o intersettoriali, rafforza l’adeguatezza e la copertura dei salari minimi.
Al netto delle legittime e diverse tesi, occorre risolvere prima possibile l’annoso problema della giungla dei Contratti Collettivi,secondo l’ultimo rapporto CNEL al 31 dicembre 2021 i CCNL depositati erano 992, che devono essere sottoscritti dagli attori realmente rappresentativi del mondo del lavoro, accordifondamentali per garantire una giusta retribuzione (stabilita nel minimo per legge?) per tutti i lavoratori, e non solo per quelli di livello contrattuale inferiore, nonché per assicurare quel dinamismo essenziale a sostenere un mercato del lavoro che si sta modificando in termini strutturali con una velocità straordinaria, in ragione delle nuove e sempre più permeanti tecnologie, da ultimo l’Intelligenza Artificiale.
Altra esigenza è quella di legare, realmente, i salari alla produttività aziendale.
Se il tema del salario minimo rappresenta l’occasione per affrontare disfunzioni di sistema ed aprire ai nuovi scenari di un mondo produttivo che evolve, è giusto discuterne, ma se esso tratteggia il pretesto per una semplice azione di natura politicadelle forze in contrapposizione, allora si perde il senso di un sano, legittimo, fondamentale e dovuto confronto per il futuro del Paese.
Angelo Montalto